«Non posso dire che la nostra gente si sia convertita, ma posso certamente testimoniare che non ha lasciato Dio. Le nostre chiese sono piene di persone che vengono a pregare».
Lo rileva mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare di Kiev. Il giovane (44 anni) vescovo ucraino, conosciuto anche in Italia dove ha studiato diritto canonico e dove è tornato anche di recente per raccontare la drammatica situazione del suo popolo, riflette con genteveneta.it sugli effetti della guerra per la fede delle persone: «Andare in chiesa è il segno che una persona cerca di avere buone relazioni con Dio, perché se uno si offende con Dio e si arrabbia con Lui di solito non vuole andare in chiesa. La nostra gente, nonostante questa guerra, viene in chiesa. Nei giorni delle feste di Pasqua le chiese erano piene piene; ma anche nei giorni non festivi c’è tanta gente».
Certamente – e non è un paradosso – la tragedia della guerra anziché allontanare avvicina alla dimensione sacra: c’è sempre qualcuno o qualcosa per cui chiedere l’aiuto dal Cielo. La preoccupazione per familiari e amici al fronte, il lutto, l’insicurezza del domani sono molle potenti per chiedere soccorso a Dio. Ma non è scontato che poi accada davvero questo, e il vescovo Alessandro (è la traduzione di Oleksandr) lo può invece attestare: che gli ucraini pregano e hanno fiducia in Dio.
Oltre alla vicinanza al Cielo il popolo ucraino sta sperimentando anche una forte e generosa vicinanza delle altre Chiese cattoliche. Mons. Yazlovetskyi, che è anche presidente di Caritas Ucraina, lo ha visto anche di recente: «Tante organizzazioni ci stanno aiutando: non siamo mai rimasti soli».
Il riferimento è ad un incontro avuto con delegazioni delle Caritas dal mondo: sono intervenuti rappresentanti da una ventina di Paesi europei. «Sono stati qui a Kiev mercoledì e giovedì della settimana scorsa, per capire i nostri bisogni. Abbiamo detto loro che il nostro timore è non solo la guerra, ma di rimanere soli in questa situazione e che il mondo si dimentichi di noi. Un po’ come un bambino che abbia paura che i genitori spariscano nel buio della vita…».
La risposta, invece, è stata generosa e fraterna: ogni Caritas ha messo in campo non solo la propria disponibilità, ma anche progetti diversi. «C’è chi si è offerto per farci avere e distribuire pacchi di cibo – esemplifica il vescovo Alessandro – e chi vuole darci un aiuto cash, soldi per chi ne ha bisogno; c’è chi si è proposto per riparare le case in legno danneggiate dai combattimenti o per costruirne di nuove, soprattutto nell’area orientale dell’Ucraina, dove i danni sono maggiori; e c’è chi vuole riparare le scuole colpite dalle bombe, specie nelle zone occupate e poi liberate; o infine chi ci ha proposto di accogliere i nostri bambini la prossima estate, perché vengano a riposare in un luogo non esposto alla guerra». Insomma: tanti volti e tante braccia pronte a dare una mano, perché l’Ucraina si senta avvolta in un abbraccio, nonostante tutto.
Giorgio Malavasi
(Un più ampio servizio, con l’intera conversazione con mons. Oleksandr Yazlovetskyi, è in Gente Veneta su carta, in distribuzione da giovedì 20 aprile)