«Si va verso un’idea della morte a comando, verso una visione utilitaristica della vita». Il Patriarca Francesco denuncia la situazione culturale entro la quale ha preso corpo anche il recente pronunciamento della Corte Costituzionale, secondo cui non è più punibile, a determinate condizioni, chi agevola il proposito del suicidio.
Mons. Moraglia ne parla nell’omelia della Messa celebrata venerdì 27 all’ospedale Fatebenefratelli di Venezia. E proprio in un luogo dedicato all’accompagnamento di persone sofferenti, per le quali la vita si fa faticosa sia fisicamente che psicologicamente, le parole del Patriarca si fanno più intense.
Innanzitutto, la decisione della Consulta pone i medici, per primi, nella condizione di assecondare la volontà di morte del malato, fornendo loro assistenza. Un percorso cui lo stesso Papa Francesco ha di recente detto no. Il Pontefice ha infatti sottolineato che si può e si deve respingere la tentazione di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia.
E sono stati proprio i medici italiani, per bocca del loro presidente Filippo Anelli, a dire un no chiaro. Il Patriarca lo ha ricordato: i medici si sentono chiamati a fare di tutto per vincere le malattie, ad accompagnare verso la guarigione e la vita, non alla morte.
Aldilà dell’orientamento ideale e di fede, prosegue mons. Moraglia al Fatebenefratelli, «si rifletta su una cosa che riguarda l’umano, tutto l’umano. Perché questa questione non è pertinenza della Chiesa e dei vescovi, ma dell’intera società, della nostra civiltà, dell’uomo tout court. La preoccupazione è circa quella spinta culturale implicita che può essere accolta dalla società e particolarmente dai malati e dai loro parenti».
Ovvero: «La persona – domanda il Patriarca Francesco – è ancora al centro di tutto oppure al centro si pone la decisione fragile di una persona provata e dei suoi familiari?». Il no forte dei medici è già una risposta importante.
Inoltre, rileva mons. Moraglia, la strada che si seguirà per dare corpo al filone culturale in cui si innesta anche il pronunciamento dell’Alta Corte, «sarà quella di enfatizzare le sofferenze delle persone. Però non ci si domanda quanto ha investito il sistema sanitario nazionale sulle cure palliative e per creare reparti attrezzati per un degno accompagnamento di chi è gravemente sofferente».
Ma c’è una cosa, infine, che stupisce: «Che la Corte Costituzionale non abbia insistito sull’obiezione di coscienza. È valida per dire no all’uso delle armi, per giustificare la non violenza… Perché, invece, in questo caso, non si dà libera cittadinanza a questo diritto fondamentale dell’uomo? Non so che pagina abbiamo scritto nella storia che riguarda le persone più fragili…».