«Ritengo che la forte sfiducia che c’è non sia verso la politica in quanto tale, ma nei confronti di una certa politica e, semmai, di taluni politici. Tutto ciò ha portato ad una volontà di cambiamento che si è realizzata non nell’astensione dal voto, ma nel dirigere il proprio consenso verso una direzione che potesse ribaltare o, almeno, scompaginare certi equilibri politici e di potere percepiti come stabili e consolidati».
Lo pone in evidenza il Patriarca, che ribadisce questa osservazione in due interviste apparse oggi, sabato 10 marzo, su La Stampa, a firma di Andrea Tornielli, e sul Corriere del Veneto, firmata da Francesco Bottazzo.
È prevalsa nel Paese – sottolinea mons. Moraglia commentando gli esiti del voto del 4 marzo – l’esigenza di voltare pagina. Ha mostrato il suo volto «un’insofferenza verso le contrapposizioni personali o di partito, le promesse eccessive ma anche verso le sterili rivendicazioni di risultati confortanti e di “riprese” economico-sociali spesso tanto annunciate ma ancora troppo poco avvertite nelle vicende quotidiane dei cittadini. Par di capire che soprattutto nei più giovani questi sentimenti abbiano prevalso, insieme alla pressione per le fatiche e le difficoltà che più li riguardano direttamente: l’ingresso nel mondo del lavoro, il raggiungimento di un’autonomia sociale, la prospettiva reale di formare una famiglia e mettere al mondo dei figli».
Il Patriarca, nei due interventi, si sofferma anche sul voto dei cattolici: «Mi pare evidente che, da tempo, i singoli credenti votano in maniera molto diversificata, in base alla sensibilità e alla storia di ciascuno. Proprio per questo non ha senso parlare di un “voto cattolico”: c’è, piuttosto, il voto dei singoli cattolici che oggi si diffonde un po’ dappertutto. In tal senso, la questione di fondo su cui tutti — cattolici italiani e veneti — dobbiamo interrogarci è l’incidenza o meno, la rilevanza o meno, la sussistenza o meno della cultura d’ispirazione cattolica nella vita sociale e politica di oggi, nell’attuale contesto. Nello stesso tempo, mi chiedo anche che cosa siamo chiamati a fare…».
Un fare che, per il vescovo di Venezia intervistato dal Corriere del Veneto e da La Stampa, può essere questo: «Sempre più ritengo necessario lavorare sulla formazione delle persone perché cresca l’attenzione, la sensibilità ed anche la “convenienza” sociale dell’impegno per il bene comune e per la dignità della persona, da tutelare in ogni momento della vita, dei principi di solidarietà e sussidiarietà, del vero senso della politica in un giusto mix di idealità e realismo, nel corretto esercizio di una democrazia illuminata e fortificata da valori».