Sì, davvero è stata una giornata indimenticabile che segna in modo indelebile la vita della comunità ecclesiale e – perché no? – anche civile. Quindi, gioia e gratitudine, come già ho avuto modo di dire ringraziando il Santo Padre al termine della celebrazione eucaristica in piazza San Marco, sono i sentimenti che vibrano in noi dopo la visita di Papa Francesco.
Sono presenti, nelle nostre menti e cuori, i momenti intensi vissuti: flashback che riemergono e ritornano. Iniziando dal primo incontro alla Giudecca con le ospiti del carcere femminile, dove ci sono stati anche dei fuoriprogramma; alcune ospiti, infatti, hanno voluto condividere col Papa le loro storie e hanno fatto alcuni piccoli doni. Il Santo Padre ha voluto salutarle una ad una guardandole negli occhi, richiamando con tale gesto il tema del Padiglione allestito dal Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione per la Biennale d’Arte. Francesco, poco dopo, agli artisti ha rammentato il valore dell’arte, che non è quello del mercato; un valore che va ricercato nella capacità di aprire ad uno sguardo ulteriore, non possessivo e non superficiale sulle persone e sulla realtà.
Con i giovani, nel Campo della Salute, il Papa ha intessuto un bel dialogo incentrato su due verbi: alzarsi (ma anche lasciarsi rialzare) e andare. Mi ha colpito la sua volontà di essere compreso e seguito dai ragazzi che, ripetutamente, sollecitava con domande per vedere se avevano davvero accolto le sue parole. Li ha invitati, soprattutto, alla virtù umana e cristiana della costanza perché solo così – è questo il “segreto”, ha detto loro – si costruiscono grandi cose nella vita.
(foto Federico Roiter)
A San Marco una significativa e gioiosa rappresentanza della Chiesa che è in Venezia lo ha accolto e letteralmente avvolto con un abbraccio affettuosissimo (il Papa mentre saliva sull’elicottero me lo ha ricordato). Francesco ha concluso la sua omelia con una frase che vogliamo fare nostra, tanto sul piano ecclesiale quanto civile: “Venezia, terra che fa fratelli”. Sì, mi pare proprio che queste parole – unite a quelle che richiamano Venezia ad essere “bellezza accessibile” e “segno di fraternità e cura” – contengano un mandato per tutti noi, ossia che Venezia sia città a misura di uomo, bambino e famiglia, in cui il bello è offerto con generosità ma anche con l’ordine e il rispetto necessario verso una realtà unica e fragilissima. Venezia, insomma, deve essere città abitabile e abitata, città dell’incontro, non solo luogo di passaggio ma spazio in cui si costruisce il presente e il futuro.
Rimarrà sempre in me il momento privato, intimo e silenzioso in cui il Santo Padre, solo, seduto sulla sua carrozzina, è stato in preghiera davanti all’altare della basilica cattedrale dove sono custoditi i resti del nostro patrono, l’evangelista Marco. In quegli istanti ho avvertito un richiamo per la nostra Chiesa: tornare sempre e di nuovo al Vangelo – in specie quello redatto da colui che fu segretario di Pietro, il primo Papa – per ritrovare forza e camminare in modo più libero e spedito, come discepoli e come Chiesa, dietro al Signore.
Sul motoscafo, mentre tornava alla Giudecca per ritornare a Roma in elicottero, mi ha rinnovato la richiesta di continuare a pregare per lui e per il suo ministero perché – come aveva confessato durante la preghiera del Regina Coeli – “questo lavoro non è facile”.
Santo Padre Francesco, grazie ancora per il dono grande della sua visita e ne sia certo: qui a Venezia continueremo ad amarla, se è possibile ancora più di prima, in piena comunione, con tutto l’affetto e la preghiera di ogni giorno.
Grazie ancora Papa Francesco e viva Venezia, viva san Marco!
Francesco Moraglia
Patriarca