Una ricchezza più condivisa e una miglior custodia della dignità di ogni persona. Sono le scelte migliori per una società che si riconosca sanamente “impastata” di fragilità.
Lo rileva il Patriarca Francesco, nell’intervento tenuto nella mattinata di venerdì 16 a Padova, in occasione del convegno nazionale dell’Uneba, l’Unione delle istituzioni e iniziative di assistenza sociale, una realtà che raggruppa oltre 900 enti associati in tutta Italia, quasi tutti non profit e di radici cristiane. L’operatività di Uneba è soprattutto nel settore sociosanitario, assistenziale ed educativo.
«La fragilità – ricorda mons. Moraglia – riguarda, di certo, in modo marcato situazioni specifiche della vita dell’uomo, ma non dobbiamo dimenticare che la fragilità è dimensione che appartiene, in modo intrinseco, alla nostra umanità, come ci ricorda il libro dei Salmi. Ne richiamo uno, il Salmo 144: “Signore, che cos’è l’uomo perché tu l’abbia a cuore? Il figlio dell’uomo, perché te ne dia pensiero? L’uomo è come un soffio, i suoi giorni come ombra che passa”. E i salmi ripropongono – giova ribadirlo – non solo la ragione / saggezza divina ma, all’interno di questa, contengono anche e sempre la ragione /saggezza umana, una visione di Dio, dell’uomo, della vita, della salvezza».
È proprio la ragionevolezza, unita alla saggezza, espressa dall’uomo ad invitare ad una consapevolezza: siamo fragili. «Per l’uomo – prosegue il Patriarca – tornare a prendere coscienza dei propri limiti e della propria fragilità non significa esser meno uomo, ma percorrere la strada che lo conduce ad essere veramente uomo, alla gioia e alla libertà di “scoprirsi” creatura. Saper accettare il proprio limite, attraverso la sperimentazione dei propri limiti, è in realtà la cifra di una sana e matura umanità in armonia con sé, con gli altri e con Dio».
Essere consapevoli di ciò, a livello personale e come società, può produrre «un’antropologia, una convivenza civile e uno Stato sociale (non assistenziale) che pone l’uomo concreto – e, quindi, con tutte le sue fragilità – al centro dell’agire culturale, sociale e politico».
Una prospettiva non solo utile ma anche sollecitata dalla drammatica cronaca della pandemia: «Se ce ne eravamo dimenticati o, illusi, o se pensavamo di essercene liberati – per il procedere della tecnoscienza, sicuri d’essere pressoché invulnerabili e al riparo da ogni rischio – ci ha pensato Covid-19 a riportarci bruscamente alla dura realtà e a far venir meno l’illusione di creare una società capace di provvedere una protezione onnicomprensiva o una garanzia “assicurativa” totale nei riguardi di ogni rischio e di ogni evenienza».
Drammaticamente e a volte tragicamente l’assalto del Covid-19 ha ricondotto ad una visione realistica: «Ci siamo riscoperti “impastati” di fragilità e ancora vulnerabili. E allora – conclude il Patriarca – questo è un tempo privilegiato per ripartire almeno in modo parzialmente nuovo, riflettendo seriamente su chi siamo, sulle nostre relazioni e sui nostri rapporti sociali ed economici, come anche riscoprendo gli elementi fondamentali della nostra società e i principi sui quali si fonda la nostra convivenza civile. Accanto e oltre alla competitività, all’efficienza e alla corsa alla performance, una società sana e lungimirante ha bisogno di poter contare su una ricchezza più equamente ridistribuita (attraverso una più equa leva fiscale), sulla centralità e dignità intrinseca della persona umana che va riconosciuta in quanto tale, sulla tutela della vita sempre e soprattutto quando è più fragile (dal concepimento al naturale venir meno), con un sistema di welfare che tuteli tutti i cittadini incominciando dai più fragili, nel rispetto e nella salvaguardia del creato e secondo un progetto di sviluppo sostenibile e di ecologia umana integrale. In una parola, avendo più a cuore il bene comune, che è bene di tutti e non solo una somma di beni individuali o il bene della maggioranza».