«Una trappola». Lo definisce così il suo lungo viaggio che dal Bangladesh lo ha fatto arrivare fin qui, a Marghera, ospite di una comunità di accoglienza insieme ad altri minori non accompagnati. «Una trappola – racconta in un inglese incerto A.B., 17 anni, bengalese, lo chiameremo Amal – perché una volta che parti non riesci più a fermarti finché non raggiungi l’Europa. E non puoi mai tornare indietro, puoi solo andare avanti». Amal è arrivato in Italia a settembre 2020, dopo aver percorso a piedi proprio quella rotta balcanica di cui si parla molto in queste settimane a causa dell’emergenza che coinvolge un migliaio di giovani, bloccati in mezzo alla neve senza un riparo, nei pressi di Lipa, in Bosnia. Amal è uno di loro, solo che quella rotta l’ha percorsa in estate e sì, lui è uno che ce l’ha fatta a raggiungere l’agognata “Europa dei diritti” e a interrompere il suo viaggio-incubo lungo i Balcani. «Se penso a tutto quello che ho passato – ricorda – il giorno più bello è stato quando sono arrivato qui alla casa della comunità e sulla porta ho visto Francesco (uno degli operatori, ndr) che mi ha detto: “Vieni”. Dopo tanti mesi di cammino, di fame, di sete, di botte, di paura, finalmente qualcuno che mi ha accolto».
Un dollaro di paga al giorno. Nato in una famiglia molto povera del Bangladesh, Amal ha dovuto presto lasciare la scuola per andare a lavorare e aiutare il padre invalido. «Avevo 15 anni, quando ho iniziato. Sono andato a Dacca (la capitale, ndr) e ho trovato lavoro in una fabbrica di vestiti. Guadagnavo meno di un dollaro al giorno per 8 ore di lavoro ma le cure per mio padre costavano più del doppio di quello che guadagnavo in un mese. Così dopo tre mesi ho cercato di raggiungere l’India e sono rimasto a New Delhi 4 mesi. Lì mi hanno detto: “Se vuoi guadagnare più soldi devi andare in Iran” e così ho fatto, passando per il Pakistan. A Teheran sono rimasto 4 mesi lavorando in una fabbrica di plastica». In tutto questo periodo Amal si arrangia come può, vive insieme ad altri uomini, più vecchi di lui, manda un po’ di soldi a casa, e mette da parte quello che riesce per continuare il suo viaggio alla ricerca di un lavoro dignitoso che gli consenta di aiutare la famiglia indigente. Ma è già dentro la trappola. Perché ovunque va non può restare. Può solo scappare: è irregolare e nonostante cambi paese le condizioni di vita e di lavoro non migliorano. L’unica cosa che può fare è continuare sempre ad avanzare, diretto verso l’Europa, che è il sogno di ogni disperato, che fugga dalla fame o dalla guerra. In Europa si guadagna di più e i ragazzi come Amal sognano in euro.
L’arrivo in Grecia e le violenze della polizia. «Sono arrivato in Turchia – continua – e ho lavorato in una fabbrica che realizzava stampe per vestiti. Nel frattempo mio padre si è aggravato e necessitava di fare delle costose terapie. Non avevo scelta, dovevo arrivare in Europa, così sono andato in Grecia ma non ho trovato lavoro». Amal in compenso trova la polizia greca, tristemente nota per le violenze sui migranti: «Si, hanno picchiato anche me – racconta commuovendosi – ci hanno gettato lo spray urticante negli occhi, ci hanno bastonato con dei manganelli. Tre volte sono stato picchiato dalla polizia. Nessuno si è mai accorto della mia età». Eppure nonostante la mascherina e lo sguardo sofferente di chi ha maturato sulla propria pelle la fatica di un uomo adulto, si vede che Amal è solo un ragazzino indifeso. «Era lo scorso luglio quando ho lasciato la Grecia e sono partito per la Macedonia e ho intrapreso la rotta balcanica, a piedi: Grecia, Macedonia, Kosovo, Montenegro, Bosnia, Croazia, Slovenia. Chiamavo ogni tanto mia mamma le dicevo: “Mamma sto raggiungendo l’Italia, non ti preoccupare, prega per me”. Eravamo sempre persone diverse, non ho avuto modo di mantenere i contatti con i miei compagni di viaggio. C’è chi è andato in Germania, chi è rimasto lì. Non lo so. Ci salutavamo augurandoci: “Buona fortuna”. Camminavamo, a volte trovavamo un passaggio. Ma non avevo soldi. Avevo solo tanta fame e sete. E’ stato orribile, orribile». L’emozione gli rompe la voce. Giulia, un’operatrice della comunità che gli è rimasta accanto in silenzio fino a quel momento, gli mette una mano sulla spalla per dargli coraggio. «Ospitiamo anche altri ragazzi qui – spiega Giulia – che hanno percorso la stessa rotta di Amal, ma hanno alle spalle delle storie ancora più drammatiche. C’è chi viene dalla guerra, chi ha visto uccidere il proprio padre e i propri fratelli».
La salvezza grazie alla Croce Rossa. Amal è stato più fortunato di altri: è stato intercettato dalla Croce Rossa a Palmanova. Ed è qui che è finito il suo incubo. Come minore ha infatti diritto ad essere accolto in apposite strutture e di ricevere adeguato supporto sia per la formazione che per l’integrazione. Oggi studia italiano al Cpia (Centro Provinciale Istruzione Adulti) di Venezia e sogna, come tutti, un lavoro. Un lavoro qualunque che gli permetta di mandare un po’ di soldi a casa. «Mi piacerebbe – sogna – fare il pizzaiolo».
Francesca Bellemo
(foto Ipsia Bih)