Il cardinale Peter Erdo, arcivescovo di Esztergom-Budapest, è intervenuto nei giorni scorsi a Venezia, nell’auditorium del Seminario patriarcale, ospite della Facoltà di Diritto Canonico “S. Pio X”, per presentare il suo volume “Il Diritto Canonico tra salvezza e realtà sociale. Studi scelti in venticinque anni di docenza e pastorale” (ed. Marcianum Press). GV lo ha intervistato e l’intervista integrale compare nell’ultimo numero del settimanale. Qui di seguito un estratto della conversazione.
Paolo VI affidò al Consiglio nascente delle Conferenze episcopali europee l’annuncio di Cristo come Salvatore del mondo. Oggi quell’annuncio alla società europea è ancora valido? Quali sono le sfide, le preoccupazioni, le gioie, le speranze che questo annuncio si trova davanti?
I cristiani sono tali perché legati alla persona di Gesù Cristo. Non dobbiamo dare preferenza a discorsi filosofici o sociologici nel nostro messaggio. È chiaro che anche un’attività sociale e soprattutto caritatevole può essere conseguenza della fede, ma il centro è – e non può non essere – il nostro rapporto con la persona di Gesù Cristo, persona storica, persona divina presente anche oggi e vicina a tutti noi. Questa vicinanza, questa comunione con Cristo, deve chiaramente emergere dalla testimonianza della Chiesa. Bisogna parlarne apertamente, non possiamo accontentarci di una testimonianza ‘silenziosa, questa, in alcune circostanze, può essere una via, ma certamente non è sufficiente. È chiaro che oggi la grande tentazione è la perdita d’identità, culturale e di fede. Se una cultura rifiuta le proprie radici, ed inoltre non accetta che vi sia un’altra realtà aldilà dell’universo, allora diventa difficile capire perché dobbiamo apprezzare la vita umana, e in generale lo stesso creato. Il valore, infatti, è sempre in una relazione. Se aldilà del cosmo non esiste altra realtà, il cosmo stesso non ha valore. Da ciò consegue che l’atteggiamento umano non può essere il carpe diem, l’edonismo, la ricerca dello stare bene in questo preciso momento. Questo atteggiamento evidentemente genera paura perché può essere che domani non saremo così ricchi, così sani, ecc. Tale visione porta all’isolamento, all’individualismo perché si comincia ad aver paura dell’altro. Può accadere, infatti, che dobbiamo rinunciare a qualcosa a favore di qualcun altro. Si può formare in questo modo, usando le parole di Giovanni Paolo II, una “anti cultura”, che però sarà una realtà triste e vuota. Il messaggio cristiano, il messaggio della Fede, è un messaggio prima di tutto gioioso: Dio esiste, Dio è persona, Dio ci ama e vuole comunicare con noi attraverso soprattutto Gesù Cristo. Noi cerchiamo disperatamente la comunicazione con eventuali altri esseri intelligenti che possono vivere nel cosmo, ma di fatto non sappiamo nulla al riguardo. Dio naturalmente non ha difficoltà nel comunicare con l’umanità: si è incarnato e con l’intera vita e l’insegnamento di Gesù Cristo ha comunicato tutto quello che voleva dire all’uomo. Questa verità cambia la nostra vita: il creato diventa la nostra casa, la vita di ogni persona comincia ad avere un senso, uno scopo. A tutto questo neanche la nostra cultura può rinunciare.
I Papi ci hanno invitato a riscoprire le nostre radici cristiane. Papa Francesco attualmente ci stimola a vedere questa implicazione di accoglienza per i poveri, gli stranieri, per coloro che vengono da terre che soffrono la guerra. Secondo lei l’Europa, noi cristiani siamo pronti a questo?
L’Europa è una realtà molto vasta, va oltre alla realtà politica dell’Unione Europea. Ci sono Paesi come la Turchia, la Russia e altri, dove in ciascuna regione c’è una situazione concreta molto diversa. Prima di tutto, in base agli stessi principi cattolici e cristiani, rispetto a diverse situazioni, possiamo mettere l’accento su diverse azioni, atteggiamenti positivi in quanto rispettosi delle varie differenze identitarie. Ci sono Paesi d’immigrazione dove tutti vogliono arrivare e sono la mèta di tutto questo flusso migratorio, ma d’altra parte ci sono Paesi che sono di transito, come anche ci sono Paesi che sono direttamente minacciati dalla guerra, dove le comunità cristiane persino sono perseguitate e minacciate nella loro esistenza. È giusto cercare di aiutare i cristiani e gli altri popoli a vivere una vita degna e normale sulla propria terra. Questo deve essere il primo dovere. Poi naturalmente nel caso concreto di profughi, se ci sono persone bisognose, bisogna cercare il modo di aiutarli nel modo migliore possibile. Noi come Conferenza episcopale ungherese abbiamo contribuito alla ricostruzione di case, villaggi in Iraq, di un ospedale in Siria, di diverse strutture nel Libano e così via. Anche nel nostro stesso Paese stiamo aiutando la gente proveniente da quelle regioni. Durante il Congresso eucaristico abbiamo dedicato un’intera giornata all’Africa, l’Africa day, e c’era anche una mezza giornata dedicata al Medio oriente con una forte partecipazione.
In questo momento difficile di pandemia per l’Europa e il mondo intero quale messaggio di speranza ci vuole lasciare?
C’erano in Europa tante epidemie, tante guerre, tante catastrofi. Malgrado ogni progresso della scienza siamo nelle mani della Provvidenza divina che ci ha regalato da una parte tante capacità di resistere a queste difficoltà, cioè la nostra struttura biologica è capace di superare tante cose, anche a costo di grandissimi sacrifici; dall’altra parte la stessa Provvidenza ci ha regalato l’intelletto e la libertà. Dobbiamo quindi cercare sempre soluzioni e risposte scientifiche a queste sfide. Ho molta fiducia nella ricerca, nella scienza, nei medici e ricercatori. Sono convinto che ci sono già risultati scientifici che sembrano utili per superare questa crisi. Non dico che abbiamo risolto tutto, però dobbiamo prendere sul serio questo sforzo umano. In ogni caso rimane chiaro, come ho già detto, che come credenti sappiamo di non essere in balia degli avvenimenti, ma sempre nelle mani di Dio (cf Sal 130).
Roberto Donadoni