«Nonno e nipote» dicono in giro. Si descrivono così quando gli sguardi diventano insistenti. E forse, in fondo, in questi 85 giorni di cammino lo sono pure diventati, nonno e nipote. Non la si può dire una bugia, anzi: a chi tra i passanti è in grado di scorgere oltre, la loro storia la raccontano per intero: quella di un uomo maturo e di un ragazzo in attesa di giudizio, con gli zaini in spalla, un patto scritto in tasca, le sneakers ai piedi e 1500 chilometri all’orizzonte.
E li percorrono tutti quei chilometri. L’hanno fatto dal 3 aprile al 26 giugno. Siviglia, via de la Plata, via Sanabrese, Santiago, Finisterre, di nuovo Santiago, Leon e di ritorno per la via francese. Fregando chi li dice sconfitti prima ancora di potersi infilare le scarpe.
Le premesse, c’è da dire, non li danno vittoriosi: il protagonista, un ventiduenne padovano, commette reato quando di anni ne ha 15. A questo si aggiungano i conflitti familiari, la vita sregolata, il peso della discriminazione, anche razziale.
A questo italonordafricano definito «suscettibile, problematico, permaloso, ribelle» la vita presenta poi un bel conto, davanti al banco degli imputati. Conto che il giudice, però, trasforma in una “messa alla prova”, una formula alternativa al percorso giudiziario che, se accettata e superata dal minore, permette di cancellare il reato interrompendone il processo.
Non un’assoluzione, non uno sconto di pena, ma un procedimento annullato insieme al reato, derubricato dal giudice.
E con questo ragazzo, per la prima volta in Italia, il cammino di Santiago de Compostela è diventato il motore di questa “messa alla prova” (assieme a frequentazione del Sert, esperienza lavorativa e attività di volontariato). Un programma cucito su misura per il giovane, ormai maggiorenne, dall’ufficio di servizio sociale per i minorenni e poi accolto dal giudice del tribunale dei minori. «Il giudice attende e dà credito, l’importante è che il ragazzo aderisca. Poi attende le relazioni dei servizi coinvolti e il dialogo con il giovane, previsto, in questo caso, all’inizio del prossimo autunno» spiega Isabella Zuliani, che con la sua associazione mestrina “Lunghi cammini” organizza, in accordo con le istituzioni, questa seconda esperienza per ragazzi in difficoltà (quattro se si contano anche le due avventure più brevi da un mese ciascuna).
Certo è che i tempi della giustizia minorile lasciano che l’adolescente diventi maggiorenne, trascinandosi dietro sette anni di stallo: «Alla rabbia del ragazzo si è aggiunta anche questa attesa. Essere chiamato a giudizio da adulto per aver messo le mani nella marmellata da adolescente monta inevitabilmente un senso di ingiustizia».
Ma neanche questo ha impedito la buona riuscita del cammino, che per la prima volta diventa metro di misura per un tribunale minorile italiano. Una ricetta nostrana per il recupero dei ragazzi fragili, dopo quelle decennali organizzate in Belgio, Francia, Spagna e Germania, cucinata grazie anche a un misterioso benefattore veneto. È lui che investe i suoi quattrini per finanziare le prime quattro spedizioni italiane verso Santiago de Compostela.
Le regole sono semplici: prima della partenza ragazzo e accompagnatore firmano un patto scritto, che conservano in tasca per tutto il cammino. Nero su bianco sostanze, oggetti e comportamenti vietati: alcool, stupefacenti, cellulari, tecnologia, musica. Con un budget che non tocca i 40 euro giornalieri, da spendere per vitto e alloggio. E la promessa di entrambi di arrivare fino alla fine. In contatto continuo con loro anche un team di psicologi e assistenti sociali.
Non si sa se il ragazzo abbia calcolato le alzatacce all’alba, considerata l’abitudine di svegliarsi alle 13, «ma nonostante questo non si lamenta una sola volta della sveglia» racconta a cose fatte Isabella. «Qui mi rendo conto che camminare è un pensatoio» è la prima cosa che le ha detto lui al ritorno. «Ed è questa, a detta di tutti i ragazzi che la provano, la vera scoperta». Non la natura, non le città visitate, non la diversità incontrata, «ma lo scoprire che tutti quelli che camminano attorno a noi hanno dei problemi personali con i quali devono fare i conti. Sono gli incontri a colpirlo. E non ci mette poco il ragazzo, intelligente e pieno di talenti, a farne tesoro in poche settimane».
L’entusiasmo del ritorno ripaga tutti di ogni sforzo. Anche l’accompagnatore, Fabrizio, un sessantottenne mestrino che mette in pausa la sua vita per tre mesi, con la voglia di regalare a un ragazzo sconosciuto una seconda chance. «Questo signore supera se stesso: positivo, generoso, capace di mettersi in discussione» ne è convinta l’esperta, che lo seleziona assieme ai colleghi anche per la sua esperienza personale con il cammino e gli adolescenti problematici.
Un trascorso che non lo rende immune, nei quasi 90 giorni di camminata, dagli scontri con il ragazzo difficile. Un nonno acquisito che il neo nipote non esita a definire «spina nel fianco». «Quando l’accompagnatore accetta la sfida è consapevole di dover mettere in discussione se stesso, di rischiare del suo – ricorda Zuliani – perché un cammino così lungo mette alla prova non solo nella relazione con il ragazzo».
È qui che l”angelo custode” testa la propria pazienza, impara a non reagire immediatamente alle provocazioni, a incassare, a prendere tempo, «anche a capire quando tornare e quando saper aspettare il momento giusto. Una testimonianza magnifica, anche quando mette il giovane all’angolo e gli chiede conto di aver trasgredito le regole del patto. Una spina del fianco, sì, ma una spina buona».
Giulia Busetto