Negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescita del numero di enti associativi di volontariato e no-profit. A leggere questa affermazione qualcuno potrebbe restare interdetto, giacché negli ultimi 30 anni è indubbio che nei più giovani, ma non solo, si sia affermato un generale disimpegno sul fronte politico e civico. Eppure, la storia dell’associazionismo giovanile negli ultimi anni non racconta un declino, anzi. A testimoniare questa inversione di tendenza è Raffaella Dispenza, vicepresidente nazionale delle Acli, presente a Zelarino mercoledì scorso per un convegno proprio sul tema: “Volontariato risorsa per la coesione sociale, l’invecchiamento attivo e la solidarietà intergenerazionale”.
Secondo Dispenza, «questa nuova crescita del mondo associativo è spinta anche e soprattutto da un maggior desiderio di impegno concreto da parte dei giovani». Un desiderio che, per la vicepresidente, è quello che differenzia la partecipazione dei giovani d’oggi da quelli del passato. «Un tempo riscontravamo un’adesione ai movimenti associativi più per ragioni di carattere ideologico, oggi invece chi sceglie di intervenire lo fa per soddisfare il bisogno di lasciare un segno concreto del suo contributo alla comunità. C’è molta volontà tra i giovani di volersi impegnare in un contesto sociale, che può anche non essere il proprio quartiere, che comunque funge da perimetro per l’azione concreta». Questo cambiamento d’approccio, inoltre, non ha lasciato indifferenti le associazioni, che, anzi, spesso hanno scelto di accompagnare questa trasformazione. «Anche le nostre organizzazioni, che prima erano molto centrate sull’advocacy, quindi sul dare voce a certe problematiche, adesso invece badano più alla concretezza dell’innovazione sociale. Si punta molto di più sulla progettualità di iniziative che, avendo un inizio e una fine, permettono di cogliere dei risultati e di valutare se sono stati raggiunti gli obiettivi prefissati».
L’unico limite di questo atteggiamento, rileva Dispenza, è il rischio di un’eccessiva depoliticizzazione dell’impegno sociale: «La sfida è creare dei luoghi in cui si costruiscano delle strategie. Non basta solo fare, ma è necessario pensare a come cambiare le cause delle disuguaglianze. È positiva l’autonomia dal mondo politico; tuttavia, le associazioni rischiano di accontentarsi di gestire un servizio per la comunità, senza impegnarsi per risolvere i problemi alla radice». Dal punto di vista giovanile, inoltre, l’impegno associativo viene visto sempre più come l’opportunità di crescere e mettersi alla prova, anche in vista dell’ingresso nel mondo del lavoro. «Non c’è un approccio strumentale al volontariato – ci tiene a precisare Dispenza – tuttavia, notiamo nei ragazzi una maggiore attenzione alla costruzione del proprio profilo personale. In questi anni sia il mondo del lavoro che quello della scuola hanno dato molto risalto alle competenze trasversali, e i giovani trovano nell’esperienza associativa anche una possibilità di uscire dal guscio e di sviluppare le proprie capacità. Il volontariato non è una gavetta al lavoro – che invece deve essere basato su una retribuzione dignitosa e non sullo spirito di servizio – ciononostante, i benefici di queste esperienze sono sicuramente un valore aggiunto».
Andrea Maurin