Immaginate una storia d’amore. Non una di quelle felici, in cui è tutto rose e fiori. Immaginate questa storia.
C’è una lei. Lei, ad un certo punto, inizia a sentire che qualcosa le manca: spesso è triste, anche in giornate divertenti; spesso, anche in mezzo alla gente, si sente sola. Le manca qualcosa. Poi, un giorno, incontra lui. La dinamica dell’incontro non è chiara né, tantomeno, quella dell’inizio della frequentazione. Quello che è certo è che lui inizia a far parte della vita di lei. Con gradualità, certo, come in ogni relazione: dapprima, lui le occupa la testa, in modo innocuo e non troppo invadente. E lei è convinta di poter vivere senza di lui.
Inizia così una vicenda che ha un esito indesiderato e si manifesta in un disturbo del comportamento alimentare. Ad oggi, sono 3,5 i milioni di italiani che soffrono di un disturbo del comportamento alimentare – che sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa, il disturbo dell’alimentazione incontrollata, il pica, il disturbo da ruminazione ed il disturbo restrittivo dell’assunzione di cibo. La giornata del 15 marzo, detta del fiocchetto lilla, è dedicata alla sensibilizzazione su questo tema, per tenere alta l’attenzione e ricordare che la possibilità di arrivare ad un percorso di cura che permetta di uscirne per davvero non può essere un privilegio.
Ma la vicenda vera di cui abbiamo avviato il racconto va completata. Succede che lui inizia ad essere sempre più presente, a darle sempre più attenzione: per lei, lui è sempre più confortante. Soprattutto, a lei pare che lui sia capace di colmare quel vuoto che percepisce prima: lui sembra ciò che prima le mancava. E diventano inseparabili.
Tutto va bene: il rapporto sembra valido – e lo dicono pure gli altri, che li guardano da fuori. Sembrano fatti l’uno per l’altra.
Dopo un po’, però, a qualcuno la frequentazione non va troppo a genio. Questo qualcuno sono i genitori di lei, che hanno percepito un cambiamento negativo: lui la distrae, non le permette di apprezzare i momenti in cui non è al suo fianco, le fa pensare di doversi identificare completamente con lui.
È con questa metafora che, in anonimato, ci viene raccontata l’esperienza dell’anoressia. È estremamente efficace perché spesso, vincolati ai nostri pregiudizi, non riusciamo a capire cosa sia un disturbo alimentare. E giudichiamo.
«All’inizio è tutto bello: ti fai coccolare da questa cosa» continua la protagonista: «Vedi solo cambiamenti fisici, che sono quello che vuoi, che ti dà soddisfazione. E quindi, se possiamo dire, quasi ti innamori».
Così, inizia la restrizione: opera un ipercontrollo. Il primo a risentirne è il corpo, che attiva il risparmio energetico: «Si interrompono le mestruazioni, i muscoli si indeboliscono, ci sono episodi di ipotermia e si perde l’intelligenza emotiva». In alcuni momenti, l’ipercontrollo si affievolisce un poco e lei si lascia andare. Ripreso, tuttavia, il controllo, a scattare sono i sensi di colpa.
L’inadeguatezza, il confronto, i sensi di colpa generano un sentimento atroce: l’odio. L’odio verso se stessi, verso il proprio corpo. «Io, adesso – riflette la ragazza – non odio nessuno. Non posso farlo. So cosa vuol dire odiare ed essere odiati: perché io mi sono odiata. Ed è tremendo».
Uscirne non è facile, né scontato o immediato. All’immaginario collettivo, poi, non è chiara una cosa: «I disturbi alimentari sono un sintomo di un qualcosa che c’è sotto, una manifestazione visibile di qualcos’altro; che, poi, spesso vengono diagnosticati assieme ad altri disturbi». Il lavoro che va fatto richiede un’équipe strutturata, che preveda percorsi di psicoterapia e di rieducazione alimentare. Ma anche l’ascolto, la vicinanza degli amici.
«L’identificazione con il proprio disturbo è difficilissima da rimuovere. Ma bisogna reimparare – ed è bellissimo – ad apprezzare il vivere intorno alle persone. E questo ti fa capire che tu hai altro, che tu sei altro, che la tua personalità è altro: non sei solo malata».
Ogni tanto il ricordo affiora: «L’ex fidanzato bussa alla porta, lo faccio entrare e chiacchieriamo sul divano. Poi, però, riesco a dirgli no, grazie». Perché uscire è possibile. Anzi, «non uscire è l’eccezione». Con le persone giuste. Nonostante le peripezie, la storia, alla fine, non può finire male. Non deve.
Carlo Millino