Giampaolo Manca ha riempito per anni le cronache di “nera” e gli atti dei tribunali, seguendo una strada che per lungo tempo è stata senza via di uscita: quella del carcere. Dietro le sbarre ha trascorso 36 anni e 8 mesi di detenzione, che gli servono a capire che il male consuma, corrode l’anima. Ma capisce anche che se l’anima si apre a Dio, ha la possibilità di sconfiggere questo nemico, provando a riparare ai propri peccati con il bene.
Manca racconta a GV questo percorso. Iniziando dall’origine di questo lato oscuro che parte da lontano, quando con il gemello Fabio, subisce fra le mura domestiche l’educazione violenta del padre. Nonostante l’amore materno, ai due fratelli non resta che scappare di casa per evitare le violenze. «E’ difficile per un bambino capire perché chi dovrebbe volerti bene ti riserva solo botte». Crescono così sulla strada, assieme a ragazzi disadattati e iniziano i primi colpi rubando da mangiare, loro che venivano da una famiglia benestante.
In carcere le prime amicizie pericolose. Il divorzio dei genitori non riesce a fermare la discesa verso l’abisso della malavita di Giampaolo, che con il primo colpo “da grande”, anche se ancora minorenne, nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo di Venezia, l’8 settembre del 1971, ruba opere di Bellini e Vivarini. L’impresa gli varrà l’infausto soprannome de “il Doge” oltre all’inizio di soggiorni in alcune carceri, fino a Santa Maria Maggiore, dove stringerà un sodalizio con Silvano Maistrello detto Kociss, famoso bandito veneziano, con cui inizierà a fare i primi colpi grossi.
Con la morte di Silvano, Manca diventa inarrestabile, reso cieco dall’avidità e insensibile al dolore che provoca per soddisfare il proprio animo avvelenato, approdando alla neonata Mala del Brenta: da qui sarà un’escalation di rapine, estorsioni, spaccio e anche omicidi. Solo l’arresto riesce a frenare questa violenza, dando a Giampaolo l’opportunità di riscoprire la forza del bene sul male. La malattia del padre. Il primo segnale arriva con la notizia della grave malattia del padre, con cui non parlava da 20 anni. Si risveglia qualcosa in Manca, si sente di nuovo figlio, prega, invoca Dio, ma le condizioni del genitore non migliorano, fino a quando inspiegabilmente, proprio quando lo rivede durante la visita in ospedale ottenuta con un permesso, il padre riprende conoscenza e si salva.
E’ l’inizio di un percorso verso il recupero della fede, oltre che in Dio, anche nel bene e nel valore della vita. Giampaolo, che non domina ancora del tutto i suoi demoni, fa ancora qualche errore, ma il solco ormai è tracciato. Con la malattia del fratello gemello, anche questa volta superata, sembra che «il dottore dei dottori» abbia ancora ascoltato le sue preghiere. «Dio mi ha teso una mano, potevo tradire il suo insegnamento?». Dopo il carcere, la famiglia e i libri. Manca finisce il suo periodo di detenzione, ad aspettarlo fuori la compagna di una vita, Manuela e il figlio Adriano, «che ho fatto soffrire oltre che per i miei comportamenti, per la mia assenza». Nell’ultimo periodo di reclusione inizia a scrivere della sua esperienza in carcere: nascono così tre libri di cui devolve il ricavato verso associazioni a sostegno di bambini e malati di autismo, come l’associazione Alphabeta.
Giampaolo sente di avere un debito da onorare verso la società, i reati e il male che ha fatto non si possono cancellare e non riesce a perdonarsi, ma riconosce di aver ricevuto una seconda possibilità da Dio, che deve ripagare. «Non sono né un eroe né un santo» afferma «mi sono messo in gioco nonostante le mie fragilità e limiti per provare ad aiutare gli altri». Alla domanda del perché i semi del male attecchiscano con più facilità, Giampaolo risponde che «l’egoismo, l’avidità e la voglia di fare “schei” a ogni costo su qualsiasi cosa allontana dal valore della vita, il vero bene da difendere». La stessa vita che oggi cerca di redimere, nonostante l’ingombrante passato, concentrandosi sulla beneficenza, anche se per tante persone risulta ancora affascinante quello ha rappresentato: «Mi scrivono per sapere dei colpi» aggiunge «ma vorrei capissero che ho scelto il potere del bene».
Giampaolo crede davvero che Dio gli abbia dato una seconda possibilità, dismessi i panni da “Doge”, oggi è da poco un nonno felice, porta il suo messaggio nelle scuole e fra la gente per cercare di demolire l’immagine mitica del delinquente che si è cucito addosso, cercando di combattere il male che per tanti anni lo ha dominato. «La misericordia di Dio è davvero infinita se ha salvato uno come me».
Massimiliano Moschin