Di Afghanistan dall’autunno scorso non si parla più, o quasi, ma «la situazione è un caos», dice Gholam Najafi, scrittore della regione di Gazni dal 2006 in Italia. <+normale_GV>«Il governo talebano – racconta il giovane che vive a Venezia – non ha ancora una definizione stabile e continua a non essere riconosciuto da nessun paese poiché non dà garanzie di rispetto dei diritti delle donne e di accesso all’istruzione».
Colpita l’istruzione. Se fino a tre mesi fa il paese aveva vissuto una tregua tra i talebani pashtun e le altre etnie, ora imperversano gli attentati orchestrati dai talebani stessi, tramite mine o kamikaze, in prossimità o all’interno delle scuole o nei luoghi di ritrovo degli anziani. Decine le vittime a Kabul e a Herat. «Colpiscono i luoghi della conoscenza per allontanare i ragazzi dallo studio, perché così è più facile creare odio». Gli attentati infatti spingono molte famiglie allarmate a non mandare i figli a scuola contribuendo così a depotenziare l’istituzione scolastica già compromessa dall’operato del governo: per ora, nonostante le promesse, hanno riaperto solo le scuole elementari, sia perché non avendo l’approvazione internazionale il governo non ha i finanziamenti necessari a pagare gli insegnanti, sia perché insegnanti uomini non ce ne sono abbastanza e la nuova amministrazione prevede classi separate per genere e insegnanti dello stesso genere della classe; così accade anche all’Università, dove una tenda separa maschi e femmine. La frequenza scolastica è drasticamente diminuita e se finora nelle grandi città i programmi scolastici sono rimasti quelli precedenti l’avvento dei talebani, Gholam ritiene che una volta che il governo sarà stabilizzato e avrà ottenuto il riconoscimento internazionale, non sarà più così. La delusione e la sfiducia sono i sentimenti più diffusi, sia in Afghanistan che tra gli emigrati: «L’economia è al collasso. Gli immigrati in Europa costituivano un fondamentale sostentamento portando soldi alle famiglie in Afghanistan. Adesso non si fidano di tornare là per non finire nelle mani dai talebani. Chi riesce va in Iran a incontrare i parenti immigrati, ma solo chi ha i documenti può ottenere il visto e nemmeno per loro è sempre stato facile, tanto che tempo fa è stato attaccato il consolato iraniano a Herat perché non dava i visti. E anche l’euro ha perso valore in rapporto alla moneta locale. Chi ha un po’ di soldi cerca di costruire, ma adesso sono tutti delusi, non c’è più voglia di progredire. Ci sono tantissimi operai che vengono pagati pochissimo, mentre è altissimo il costo delle materie prime».
In molte campagne i contadini non sono più in grado di irrigare i campi o di mantenere gli animali, anche a causa della siccità e perciò si spingono nelle città, mentre i nomadi avanzano compiendo angherie e assumendo il potere: contro di loro non è facile opporsi perché sono della stessa etnia pashtun dei talebani che perciò li proteggono. C’è chi cerca di arrivare in Europa attraverso la Turchia, ma è sempre più complicato. Molti sono i respingimenti dal territorio turco; pochi i permessi di soggiorno concessi dai paesi europei, anche in seguito al conflitto in corso in Ucraina. «Da quando c’è la guerra, gli immigrati afghani in Europa sono un po’ abbandonati, sono passati in secondo piano. Fino a febbraio – racconta lo scrittore – andavo spesso là a fare da mediatore, davano permessi di soggiorno, adesso molto meno. Giustamente ci sono problemi più gravi e più urgenti, ma è difficile confrontare quale sia la situazione più grave. Chi il permesso di soggiorno lo ottiene, non viene però sempre seguito adeguatamente».
Il fattore internazionale. Da come evolverà la situazione internazionale nella contrapposizione tra Oriente e Occidente dipenderà secondo Gholam anche la situazione afghana. In base agli equilibri tra Russia, Turchia, Iran e Paesi del Golfo cambierà completamente anche lo scenario in Afghanistan e il paese potrebbe non aver neanche più bisogno degli Stati Uniti, dei quali, come dell’Occidente, i cittadini non si fidano più perché dopo aver fatto tantissime cose, instillando la speranza in un futuro di sereno progresso, ora li ha abbandonati. Al momento non è nemmeno chiaro quali paesi stiano aiutando e appoggiando i talebani, alcuni lo fanno certamente, come i Paesi del Golfo, altri come il Pakistan li appoggiano, ma poi approfittano della loro debolezza per attaccare una parte di territorio confinante e tentare di impossessarsene.
E l’opposizione interna? Gholam risponde così: «All’interno non si riesce a coalizzarsi perché la società è multietnica e ogni forma di contrasto viene pesantemente punita. A Herat recentemente sono state impiccate e lasciate in vista come monito delle persone che avevano criticato i talebani. All’estero non c’è opposizione perché gli emigrati non riescono a trovare un pensiero comune: ognuno ha assunto la cultura e il punto di vista del paese in cui vive, ognuno ha un’idea diversa. Bisognerebbe creare occasioni e luoghi di discussione. L’immigrato deve unire cuore e pensieri con i quali vive per non essere indebolito dalla solitudine di trovarsi in luoghi di cui ancora magari non padroneggia la lingua e nei quali si formerà ad una cultura che si affiancherà a quella nativa». Sfiducia e delusione albergano anche nel cuore di Gholam, diviso anch’egli tra il desiderio di andare in Afghanistan il più presto possibile, ma deluso: “E’ un dolore. Gli attentati fanno paura. Aprire una scuola e promuovere un’idea di letteratura e umanità è difficile data la situazione». In quella difficile situazione, poi, lo scrittore forse non avrebbe la serenità per riuscire a far scorrere le sue parole, che forse da qua possono risuonare più alte e meglio contribuire alla conoscenza e al futuro del suo primo paese.
Carlotta Venuda