Un po’ perché l’Europa ce l’hanno in casa, ma un po’ anche perché i media e la scuola hanno fatto bene la loro parte. Si spiega così il successo che ha dell’incredibile, per cui quasi il 90% dei belgi (l’89,82% per la precisione) è andato a votare per le elezioni del Parlamento europeo.
Un record continentale, che mette il Belgio al primo posto per partecipazione fra tutti i ventisette Paesi dell’Unione europea (pecora nera la Croazia, dove l’8 e 9 giugno scorsi è andato al seggio il 21,34% della popolazione). Insomma: l’Italia ha qualcosa da imparare dal Belgio, visto che siamo scesi sotto il 50% di affluenza, in controtendenza anche rispetto ad alcuni vicini importanti come Germania (64,78%) e Francia (51,5%).
Gli “ingredienti” del successo di partecipazione in Belgio li elenca Matteo Lazzarini, del Lido di Venezia ma da circa trent’anni stabilmente residente a Bruxelles, dove lavora nel settore dell’europrogettazione e dell’internazionalizzazione delle imprese. È vero – riconosce Matteo Lazzarini – per i cittadini belgi c’era un “aiutino”: in quei due giorni si è votato non solo per le Europee ma anche per le politiche e le regionali. Quindi c’erano due motivi in più per recarsi al seggio. Un piccolo aiuto è stato anche di ordine tecnico: «In caso di impedimento qui si può dare la procura a qualcuno che voterà per te. Si può però avere al massimo una procura».
Ai nostri occhi, invece, non sono un aiuto gli orari: «Si è votato – precisa Lazzarini – solo di domenica dalle 8 alle 14 (con scheda cartacea) e dalle 8 alle 16 con voto elettronico (a Bruxelles, ad esempio)». Ancor più singolare un altro aspetto: «Le schede elettorali in Belgio contengono, oltre a nome e simbolo dei partiti, anche i nomi di tutti i candidati. Sotto il nome e il logo del partito ci sono quindi tutti i nomi dei candidati. Le schede sono dunque molto grandi e per alcuni è stato difficile ripiegarle…».
Un sostegno all’affluenza sta anche nel fatto che il voto è obbligatorio, come in Lussemburgo (con un rilevante 82,3% di afflusso), Grecia (dove non si è andati oltre il 41,4%), e Bulgaria (dove però ha votato solo il 34,7% degli aventi diritto). «Chi non vota – prosegue Lazzarini – rischia una multa, anche se di fatto è una sanzione non applicata. Pur essendo obbligatorio, il voto non è però vissuto come un’imposizione vessatoria. È così da sempre. Fu reso obbligatorio alla fine dell’800 per permettere alle classi più povere di votare senza subire pressioni da parte dei “padroni”, che avrebbero potuto far lavorare gli operai il giorno delle elezioni».
Ma il vero punto forte è stato l’accompagnamento da parte dei media: «In Belgio, alla televisione francofona, c’era ogni giorno un dibattito, un confronto tra politici su temi molto concreti. Con giornalisti molto bravi. Sono stati coinvolti molti giovani. Dal punto di vista giornalistico – sottolinea il funzionario europeo – i media hanno fatto cose davvero interessanti: io seguo l’attualità sui media in cinque lingue diverse, ma non ho visto nulla di simile in altri Paesi. Il linguaggio era comprensibile, le domande e le risposte chiare, i tempi di parola rispettati, qualche tensione ma sempre molto rispetto. Sempre eleganza e fair play…».
E la scuola ci ha messo del suo: in Belgio, infatti, hanno votato anche i sedicenni. «Nelle scuole superiori se ne è parlato molto: in quasi ogni materia si parlava dell’Unione europea, della storia, delle politiche, delle lingue, della letteratura, della geografia… La tematica trasversale, durante la campagna elettorale e anche prima, è stata la Ue».
Per cui, è vero – riconosce Lazzarini – «che qui l’Europa ce l’abbiamo in casa: Parlamento, Consiglio, Commissione, Comitato delle Regioni. Ma se altrove e anche in Italia la narrazione è quella – sbagliata – di un’Europa burocratica e tecnocratica, c’è poco da fare. Peccato che in Italia e in parecchi Paesi sfugga ai più che molto venga deciso dall’Unione europea e che le leggi nazionali “derivino” in qualche modo dalle decisioni prese dalla Ue, dove comunque sono Stati e cittadini, cioè Consiglio e Parlamento europei, ad approvare le norme».
Giorgio Malavasi