È morto Amos Luzzatto. È mancato a Venezia, a 93 anni. Nato a Roma, aveva trascorso l’adolescenza a Gerusalemme e Tel Aviv, fino al 1946. Ha operato per quasi mezzo secolo come chirurgo in svariati ospedali italiani. Scrittore, saggista, professore universitario, primario chirurgo e libero docente, da giugno 1998 è stato presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, riconfermato al congresso del giugno 2002 per altri quattro anni. Era sposato e aveva tre figli.
«Conservo di lui la viva impressione di una figura davvero rilevante e autorevole sotto l’aspetto civile, culturale e religioso così da essere universalmente ascoltata, stimata ed apprezzata». Lo scrive il Patriarca Francesco in un messaggio di condoglianze al presidente della Comunità ebraica veneziana, Paolo Gnignati.
Continua il Patriarca: «Se le vicende terribili del secolo scorso ne avevano segnato l’esistenza, il Professor Luzzatto ha saputo con forza e saggezza “segnare” Lui stesso la storia e la vita non solo della Comunità ebraica veneziana e di quella italiana – che ha guidato dal 1998 al 2006 – ma anche della città di Venezia e dell’intero Paese. Il ricordo della sua luminosa figura rimarrà costante invito e riferimento autorevole per costruire e percorrere una convivenza sociale fatta di giustizia, verità e pace».
“Con la scomparsa di Amos Luzzatto – aggiunge il Governatore del Veneto, Luca Zaia, in un altro messagio – perdiamo uno dei più grandi testimoni del nostro tempo che ha vissuto uno dei momenti più atroci della nostra storia ma che, fortunatamente, è riuscito a contribuire in prima persona alla ricostruzione di una società basata sulla cultura del rispetto”.
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, così lo ricorda: «La scomparsa di Amos Luzzatto è una ferita aperta per la città di Venezia, che perde una personalità poliedrica: chirurgo, scrittore, saggista, un uomo di cultura sempre aperto al confronto e al dialogo. Alla famiglia e a tutta la comunità ebraica il più sentito cordoglio».
Tempo fa, intervistato da GV, Amos Luzzatto sottolineava la necessità, per la cultura del nostro tempo, di porsi dei limiti e di sentirsene consapevole: «Occorre tornare – diceva – alla sapienza di non sapere, di avere dei limiti: Non bisogna mai pensare che tutto stia nelle nostre mani. Questa è un’identità fortissima. Un debole non può sostenere un pensiero simile. Certo, piuttosto sembriamo avere paura della nostra stessa identità. Per esempio, abbiamo paura di riconoscere la nostra radice ebraico-cristiana, che proprio in questa ammissione del limite trova il suo fulcro e il punto di incontro delle due culture».