Nel buio del Covid ci sono tante luci nascoste. È quanto racconta a GV don Gianpiero Giromella, giovane cappellano dell’Ospedale Civile di Venezia “Santi Giovanni e Paolo”. «Il bene agisce nel segreto, infatti ho incontrato persone che risorgono, risorgono nel “silenzio del Sabato Santo”. È la Bella notizia del Vangelo». Don Gianpiero vive con gratitudine e gioia per questo ministero tra le corsie e i reparti del Civile, in un tempo non facile, quello della pandemia. Ordinato nel 2019, è anche collaboratore pastorale delle parrocchie che vanno da Rialto a San Simeon Profeta insieme ai sacerdoti don Antonio Biancotto e don Renzo Mazzuia. In questo momento, anche per indicazione della direzione, è l’unico che può recarsi in ospedale. Per questo viene sottoposto ogni settimana al tampone e usa sempre tutte le dovute precauzioni.
Don Gianpiero, quali reparti visiti, normalmente?
Mi reco ogni settimana in ortopedia e chirurgia generale, neurologia, medicina generale terzo piano, geriatria e urologia. Di solito riesco a fare tre reparti in una mattinata, e il giorno dopo altri tre. In una settimana compio il giro anche due volte, ma dipende da chi incontro: posso stare anche due ore in un reparto. Dipende dalle esigenze, dalle persone. E non mi limito a dialogare con i pazienti, ma anche con medici, infermieri e operatori. C’è una conoscenza che cresce gradualmente.
Come ti avvicini alle persone che incontri?
Il mio approccio è appunto incontrare le persone. C’è ancora la convinzione che dove arriva il prete è prossima la morte: si pensa all’Estrema Unzione. Mentre oggi l’Unzione degli Infermi è un sacramento di vita, di guarigione. L’importante comunque è salutare e dialogare, con alcuni è più semplice, con altri meno.
Che clima si respira?
Nei reparti Covid tutti sono molto stressati. I pazienti in generale hanno molto piacere di essere visitati dal sacerdote: tutta l’umanità che si può mettere per incontrarli è di aiuto. Ho stretto molte amicizie tra infermieri e medici. Vedo che hanno tutti bisogno del ministero del sacerdote, anche semplicemente per un saluto. La Pasqua scorsa sono entrato anche in zona malattie infettive: ho percepito cosa vuol dire penetrare in un mondo di “morte” e portare Gesù. Anche se solo finalizzati a portare il Sacramento, ho vissuto momenti di preghiera molto intensi.
Cosa “vedi” nelle persone?
Vedo episodi di “Resurrezione”, persone che attraverso la malattia fanno una esperienza di conversione. Molti che si accostano alla confessione solo per il fatto di raccontare dolori e traumi e fatiche che vivono dentro e già questa è un’esperienza pasquale: dal grigiore alla pienezza. Vedo volti di persone che si commuovono. Ho incontrato anche molte persone lontane dalla Chiesa che a distanza di tempo mi hanno chiamato per dirmi che hanno sperimentato una grazia in questa vicinanza. Non è vero che in ospedale si muore e basta: si guarisce soprattutto, sia in senso fisico, ma anche spirituale. Mi ha colpito molto vedere medici e infermieri consolare le persone nella sofferenza annunciando loro Gesù.
Quale è la cosa più bella che recentemente ti è capitato di vivere?
Un piccolo miracolo: fin dall’inizio avevo in mente di celebrare una Messa per il personale dell’ospedale. Un medico recentemente mi ha chiesto una messa per i medici. Alla fine si è creato un gruppo di 20 persone per celebrare la messa alle 7.30 almeno una volta al mese in ospedale. La prima volta lo abbiamo fatto in Avvento. Sono solo medici per ora, perché gli infermieri non possono per via di quella fascia oraria. “Le opere di Dio si fanno da sé” diceva San Vincenzo de Paoli. Ci ritroveremo la prossima settimana. Si celebra a San Lazzaro dei Mendicanti e alcuni partono molto presto da casa, dalla terraferma, per venire a Messa. Il 14 dicembre, Santa Lucia, abbiamo celebrato anche per il reparto di oculistica: siamo andati in una sala grande adibita dall’ospedale.
Cosa ti preoccupa di più ora?
La paura: è il peggior virus che ci sta contagiando. Se io fossi bloccato dalla paura chi andrebbe da queste persone? Uscire dalla paura è fare Pasqua, è passare al Padre.
Marco Zane