Macron, un presidente che non sa dialogare: perciò la realtà gli sfugge di mano. Giovani islamici di seconda e terza generazione, che non si sentono cittadini della Francia ma uomini e donne dell’Islam in terra francese. E politiche di inclusione mai realmente volute e realizzate dai governi che si sono succeduti negli ultimi decenni.
Questi sono i tre ingredienti della polveriera sociale che è oggi la Francia: i disordini e i vandalismi dei giorni scorsi – seguiti all’uccisione di un ragazzo di diciassette anni, Nahel M., da parte di un poliziotto – sono un’ulteriore riprova. Ne è convinto don Silvano Bellomo, sacerdote veneziano che da quarant’anni vive e opera a Parigi.
«Dei fatti di questi giorni la prima spiegazione – afferma don Bellomo – è congiunturale ed è legata alla figura dell’attuale presidente: Macron non riesce a comunicare, fatica ad ascoltare e a dialogare e perciò non capisce la realtà. Per governare il disordine usa perciò un metodo autoritario, ma in questo modo le banlieues si ribellano e passano alla violenza».
In realtà, verrebbe da dire, stavolta dietro ai disordini ci stanno sì le banlieues, ma in tempi molto recenti dietro a fatti simili ci sono stati i cittadini di etnia e tradizione francese: basti pensare alle proteste e alle manifestazioni violente quando, pochi mesi fa, è passata la riforma delle pensioni; o, prima ancora, quando per settimane i gilet gialli sono scesi in strada contro il carovita e le politiche sociali… È vero, riconosce don Silvano: «C’è anche una componente tipica, insita nel dna e nel carattere dei francesi: è il loro essere ligi, in regola. La gente ci tiene al sistema dei valori – patria, libertà, fraternità, uguaglianza – e quando lo si attacca in modo forte reagisce in maniera incontrollata».
Cittadini dell’Islam, non della Francia. Ma l’altro ingrediente difficilmente controllabile è la cultura islamica, che non è legata a fatti di immigrazione recente: «La Francia non ha ingressi di nuovi immigrati. Un po’ come l’Italia è una terra di passaggio: i migranti entrano ma sono diretti verso Germania e Inghilterra. La Francia, semmai, ha i figli e i nipoti degli africani che sono arrivati decenni fa e che qui si sono stabiliti. Loro si considerano non cittadini della Francia ma dell’Islam in terra francese; quindi non riconoscono l’autorità dello stato o della polizia: l’unica autorità è quella islamica. Non per niente in questi giorni hanno attaccato i sindaci e i negozi delle grandi catene dell’economia occidentale. Cioè coltivano l’idea di non adattarsi al mondo laico e pluralista che invece li vorrebbe incorporare».
Da qui la realtà delle periferie parigine, le banlieues, vere città nella città, attraversate anche dai francesi bianchi ma abitate e vissute solo dai discendenti dei primi immigrati nordafricani.
Politiche di inclusione mai attuate. Quel che non si capisce, però, è come si possa essere arrivati a questo punto: la Francia conosce l’immigrazione magrebina dagli anni ’50, il tempo c’è stato per fare politiche di inclusione… «In questi decenni – conclude piuttosto deluso don Silvano Bellomo – i governi hanno parlato ma non hanno fatto e tutte le proposte arrivate dalle città ai governi sono state messe da parte. Oggi si vedono i risultati del fallimento della politica e della cultura: tutti credevano di poter assimilare i nuovi francesi, ma l’Islam non si può assimilare».
Giorgio Malavasi