“on è bene che l’uomo sia solo”. I versetti con cui lo scrittore sacro spiega, nelle prime righe della Genesi il motivo per cui Dio ha scelto di creare la donna, mettendola a fianco dell’uomo, è il tema della riflessione che papa Francesco propone per la XXXII Giornata mondiale del malato dell’11 febbraio, richiamando così l’attenzione sull’importanza delle relazioni umane nel processo di cura delle persone malate.
Accostando una persona malata è facile scorgere come molti aspetti della sua esperienza di fragilità vengono esacerbati da una condizione di solitudine. Il sentirsi abbandonato, spesso, rende più debole la motivazione alla cura. La mancanza di compagnia per molti malati, soprattutto anziani, aumenta il cosiddetto dolore percepito, rendendo spesso meno efficaci le terapie del dolore. La paura che tutti sperimentano di fronte ad una possibile prognosi infausta e che si amplifica quando non viene comunicata in modo adeguato e condivisa, acuisce l’ansia e crea un terreno sfavorevole a decisioni equilibrate, consapevoli, serene. L’esperienza della pandemia, come ricorda Papa Francesco, ha fatto toccare con mano a tutti come la solitudine e l’isolamento rendano più pesante la sofferenza e più insopportabile la morte. Questo bisogno di relazioni umane non appartiene solo alla persona malata, ma coinvolge inevitabilmente anche il suo nucleo famigliare, messo alla prova dalla sofferenza di uno dei suoi membri.
La capacità di diagnosi e di cura della medicina moderna è cresciuta in modo esponenziale, permettendo di raggiungere risultati insperati qualche decennio fa. Questi traguardi rischiano però di far perdere di vista, spesso in modo inconsapevole, il cuore di tutto il processo di cura, che è la persona malata, ancor più necessitante di relazioni umane forti e serene per sopportare il peso di una fragilità che spesso riduce sensibilmente la sua autonomia funzionale e psicosociale.
L’impegno necessario è quello di passare dalla dimensione della cura a quella del prendersi cura, che prevede un’attenzione a tutta la persona malata e non solo ai suoi aspetti organici e funzionali, peraltro molto importanti. Papa Francesco nel suo messaggio sottolinea questa priorità, ricordando che «prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso». Questa prospettiva umanistica permette alla medicina di andare oltre una dimensione puramente tecnicistica, che spinge a moltiplicare procedure diagnostiche sempre più sofisticate ma in molti casi inutili e inappropriate, per focalizzare l’attenzione sulla persona malata, alla ricerca del suo “star bene” integrale.
Riproponendo l’icona del Buon Samaritano, figura di Gesù, il papa ripropone lo stile della vicinanza e della prossimità nella cura della persona malata, invitando tutti a far crescere la cultura della compassione e della tenerezza per contrastare quella dello scarto, dell’individualismo e dell’indifferenza. È uno stile da imparare ogni giorno, accostando i malati con la disponibilità ad ascoltare le loro richieste, a comprendere le loro emozioni e i loro stati d’animo, accompagnando il loro percorso con un atteggiamento di prossimità. È un cammino da fare assieme, sostenuti dallo sguardo di Maria, la madre di Gesù e madre nostra.
Michele Busato
Gremio di Bioetica