Costruire ricchezza e operare concordi: così si fa e si farà grande Venezia. Luigi Brugnaro torna a sfoggiare i suoi cavalli di battaglia – cioè il metodo con cui operare – mentre fa il bilancio dell’anno che sta terminando, ma anche del suo mandato che volge a conclusione.
È come sempre un fiume in piena: la conferenza stampa di fine anno, in Municipio a Mestre, dura tre ore, una delle quali riservata agli assessori, mentre due se le prende il sindaco. Il bilancio è fatto di tantissime voci, ma alcune spiccano. Per esempio: «Abbiamo aperto o stiamo aprendo opere pubbliche per 540 milioni di euro». O anche: «Non abbiamo venduto una casa pubblica, pur di sostenere la residenza nella città d’acqua. Abbiamo bloccato il proliferare degli hotel e insisteremo perché diventi più conveniente affittare case a veneziani piuttosto che a turisti».
E ancora: il nuovo contratto con componente meritocratica siglato con i dipendenti comunali, il cui numero è stato ridotto dagli iniziali 3260 a 2769, nonostante l’assunzione di duecento nuovi vigili.
E il disavanzo di Ca’ Farsetti che probabilmente nel 2019 sarà pari a zero, contro i 72 milioni dell’anno di insediamento. Oppure il rilancio del Casinò, che non è più la macchina da soldi degli anni ’90 ma neanche la zavorra di un lustro fa.
E si può continuare con il bilancio attivo dei musei civici o i 12 milioni che si stanno spendendo per Forte Marghera, quasi pronto per diventare nuova calamita per una popolazione interessata a cultura e ambiente.
E via dicendo, per molti diversi capitoli. Con stoccate per certi parlamentari veneziani che non aiutano: «Se fossero onesti direbbero: “Sindaco, di cos’hai bisogno? Mi metto a tua disposizione”; e invece remano contro». E critiche per l’opacità del sistema Mose, che finora non avrebbe concesso al sindaco di sapere nulla su come procedono i lavori e sui tempi del cantiere.
Infine, con un pensiero ricorrente al futuro, dato che Luigi Brugnaro si ricandida e conta di avviare, dopo il voto della primavera 2020, un nuovo mandato quinquennale. Un’ipotesi molto probabile, dato che oggi la città di terraferma – che vale i due terzi della forza elettorale – sembra essere con lui, mentre solo i residenti della città d’acqua paiono essergli significativamente ostili.
Così l’ultima tornata di pensieri si apre sul futuro. «Questa città – afferma il sindaco – deve ripartire come ha fatto Milano. Dobbiamo case più belle e confortevoli, in terraferma ma anche a Venezia, dove non è possibile che sia proibita l’apertura di una porta o l’abbattimento di una tramezza: gli standard di comfort di oggi non sono quelli di ieri».
Un discorso di riforma urbanistica che vale anche per i negozi di Mestre: «Bisogna dare possibilità ai commercianti di ampliare i loro negozi, di non fermarsi a 40 metri quadri, ma di ingrandirsi andando a lato o di sopra, dove il piano urbanistico prevede invece l’uso direzionale, bloccando così tutto».
Una città immutabile, dice Brugnaro, che l’aspirante sindaco bis intende invece smuovere: «Ai giovani dico: venite a investire a Mestre». E sulla questione dei Pili, che torna ad emergere dopo cinque anni di relativa quiete, Luigi Brugnaro rilancia la sua idea: un palazzetto dello sport donato alla città – «mi costa cento milioni di euro» – invece «della solita speculazione, a base di hotel».
Credere al sindaco che dice quanto Mestre e la terraferma veneziana siano non tanto una città al crepuscolo, ma una grande opportunità per il bene dei cittadini?
Qui sta il vero problema, si accende Brugnaro: «Bisogna fidarsi, e invece questa città ha un problema di fede. Bisogna tornare ad andare a messa e tornare a leggere il Vangelo, credenti e non credenti, per imparare a fidarsi».
Giorgio Malavasi