“Fare figli e lavorare non è mai stato facile, ma gli ultimi dati ci parlano di una inconciliabilità in pericoloso aumento, in Italia, nel Veneto e nell’area metropolitana di Venezia, al quale bisogna porre rimedio”. Così la consigliera di parità della Città metropolitana di Venezia, Silvia Cavallarin, dopo aver compulsato i dati delle convalide delle dimissioni in maternità e paternità diffusi ogni anno dall’Ispettorato del lavoro e distribuiti alle consigliere di parità per la loro area di riferimento (regionale e provinciale).
Con 49.451 convalide registrate nel 2018 in Italia, la crescita delle dimissioni dal lavoro in maternità o paternità è cresciuta del 24% rispetto all’anno precedente; in Regione Veneto è aumentata del 30% (da 5.954 a 7.720) e in area metropolitana veneziana del 42%, passando da 818 a 1.161.
Un significativo aumento dunque di abbandoni da parte di lavoratrici madri o lavoratori padri nei primi tre anni di vita del figlio, periodo entro il quale le dimissioni volontarie o le risoluzioni consensuali (cioè l’accordo tra datore di lavoro e dipendente per interrompere il rapporto prima della scadenza stabilita) sono subordinate al controllo da parte dell’ispettorato territoriale di riferimento, secondo il testo unico di tutela della maternità e paternità.
“Un bollettino di guerra – osserva Cavallarin – le cui cause non risultano del tutto chiare dalla lettura dei dati forniti. Emerge però un fenomeno nuovo: nonostante le lavoratrici madri siano in maggioranza, cresce in modo sostenuto negli anni, soprattutto nella realtà metropolitana veneziana, il numero dei padri che abbandonano il lavoro”.
Sono 721 le dimissioni delle lavoratrici madri nel veneziano, corrispondenti al 62% del totale, dato in miglioramento rispetto al 73% del Paese, ma è sorprendente il confronto guardando alle dimissioni dei lavoratori padri, che passano da 258 nel 2017 a 440 nel 2018, con un incremento di oltre il 70% (49% su confronto nazionale).
Fra gli altri parametri osservati, in linea con quanto succede nel Paese, quasi il 90% delle convalide interessa chi ha un’anzianità di servizio compresa tra 3 e 10 anni e oltre il 95% è in carico a chi ha basse qualifiche (impiegato/a, operaio/a). Inoltre sono interessate alle dimissioni soprattutto le microimprese fino a 9 dipendenti, mentre al crescere della dimensione aziendale diminuiscono gli abbandoni dal lavoro.
Sulle motivazioni espresse all’atto della convalida per le dimissioni o risoluzioni consensuali, la differenza di genere è netta: per le lavoratrici madri è un problema, nell’ordine: la rete di supporto per i figli, la mancata flessibilità aziendale, la mancata concessione di part-time, la distanza tra casa e sede di lavoro, in modo pressoché esclusivo, mentre risultano ampiamente scavalcate in caso di “passaggio ad altra azienda”, dove, per i lavoratori padri, è quasi l’unica motivazione addotta.
“L’organizzazione familiare risulta ancora eccessivamente squilibrata sulle lavoratrici madri – commenta la Consigliera di parità metropolitana – e qui emerge in tutta la sua forza la necessità di un cambio culturale che riequilibri questa dinamica. Alle donne è riservato soprattutto il lavoro non retribuito: portare i bambini a scuola, andarli a prendere, fare la spesa, le pulizie, cucinare, mentre ai lavoratori padri che si dimettono interessa trovare un’altra posizione professionale e retribuita. È un circolo vizioso che incide sullo sviluppo economico e sociale della comunità: le donne hanno carriere più discontinue, così guadagnano meno e sono più povere. D’altro canto sono spesso più istruite degli uomini e più determinate, più motivate proprio provenendo da una situazione di maggiore svantaggio: sono risorse umane e intellettuali che non possiamo permetterci il lusso di sprecare o sottoutilizzare”.