Bombardati e saccheggiati. Ma ora ricostruiamo, anche grazie alla diocesi di Venezia. È il messaggio che arriva da Vorzel, sobborgo di 6mila abitanti a una quindicina di chilometri dal centro di Kiev.
Qui sorge il Seminario della diocesi cattolica di Kiev: «La guerra è iniziata il 24 febbraio dell’anno scorso. Il 24 sera ci siamo riuniti, abbiamo chiamato anche una decina di parrocchiani e amici e mentre discutevamo sul da farsi sentivano la battaglia in corso all’aeroporto di Hostimel, pochi chilometri più in là». Lo ricorda don Ruslan Mykhalkiv, 43 anni, il rettore del Seminario ucraino.
Il giorno dopo abbiano deciso di andare via: non abbiamo sbagliato, perché i russi hanno trattato molto male la popolazione».
In effetti Vorzel dista solo cinque chilometri da Bucha, la cittadina martire, dove l’esercito di Putin si è accanito uccidendo centinaia di civili. «Qui a Vorzel – continua don Ruslan – è rimasto solo il padre spirituale del Seminario, che è anche parroco; ed è rimasto fino al 10 marzo, poi è scappato via: meno male, perché a quel punto qui è iniziato il manicomio».
Nel frattempo, il 27 febbraio, un missile russo scoppia nei pressi dell’edificio del Seminario e fa danni; più avanti un’altra bomba farà altri guasti, ma il peggio arriva quando un gruppo di soldati russi, attorno al 25 marzo, sfonda la porta e si accampa nello stabile: «Sono rimasti – prosegue il racconto del rettore – per quattro o cinque giorni, hanno saccheggiato tutto e portato via tante cose: due frigoriferi, le lavatrici, le macchine per il caffè, televisori, perfino piatti e posate. Hanno anche rubato due calici e degli abiti religiosi, oltre ad alcuni paramenti per l’adorazione eucaristica. Stranamente non si sono curati di tre icone dell’Ottocento: forse guardano solo per terra, non hanno alzato lo sguardo. Però hanno vandalizzato una statua della Madonna di Fatima, che probabilmente era già stata scheggiata dalla caduta del missile, giorni prima».
I danni sono tanti: i soldati, «certamente russi: hanno lasciato in giro i pacchetti di sigarette con il marchio russo», distruggono porte, aprono tutto ciò che è chiuso a chiave e fanno razzia. Poi, il 1° aprile, scappano: l’esercito ucraino, con l’aiuto occidentale, si è riorganizzato e costringe le truppe di Mosca alla ritirata.
Il 7 aprile 2022 don Ruslan rientra in Seminario: «Fino a quel giorno era proibito avvicinarci. Ho trovato tutto danneggiato, perfino dei bossoli nelle camere: segno che i russi sparavano anche alle cose. Figurarsi se fossimo rimasti noi dentro…».
La situazione è comunque difficile: «Dal 27 febbraio – ricorda il rettore, che conosce bene l’italiano, avendo studiato cinque anni a Roma e avendo prestato servizio pastorale vicino a Rovigo – non abbiamo più avuto né gas né corrente elettrica, né acqua né internet. Qui a Vorzel passa una linea ferroviaria importante, ma in quei giorni era silenzio totale, come stare al buio in una foresta di notte. Poi, quando siamo rientrati, abbiamo attivato un generatore e abbiamo almeno potuto bollire un po’ d’acqua per scaldarci: per fortuna l’inverno stava finendo, ma fuori c’erano 2-3 gradi…».
E gli approvvigionamenti sono tutti d’emergenza, a partire dai pacchi con generi alimentari: «Il 10 maggio dell’anno scorso qui a Vorzel c’erano mille persone che hanno ricevuto ciascuna un pacco di otto-dieci chili di provviste».
Poi, via via che gli ucraini riconquistano territorio e liberano altre città e paesi, la guerra si sposta più a est e Vorzel, insieme alla zona di Kiev, esce almeno un po’ dall’occhio del ciclone: «I negozi riaprono e il lavoro riprende, i treni riprendono a passare così come gli autobus; anche gli aiuti della Caritas si spostano in altre aree».
Adesso la guerra continua a incombere ma in modo diverso: «Ci sono gli allarmi aerei notturni: a Kiev, nel mese di maggio, 21 notti su 31 hanno registrato l’arrivo di missili. Anche Vorzel – aggiunge don Ruslan – è presa di mira, ma essendo una superficie più contenuta rispetto alla capitale, le difese antiaereo e antimissile hanno sempre successo».
È il tempo di riparare e andare avanti: i guasti più importanti, in particolare alle porte e ai vetri, sono stati riparati. Così adesso si mette mano, anche grazie all’aiuto veneziano, ad un progetto che si era bloccato: «Il Seminario è formato da due grandi edifici, ma già prima della guerra avevamo deciso di spostare le attività di formazione dei seminaristi in uno solo, dedicando l’altro ad attività di formazione e sostegno alle famiglie. Grazie al Patriarcato di Venezia adesso riusciremo a completare la cappella del Seminario, che ha bisogno di finiture e arredi. Speriamo di concludere i lavori della cappella entro tre-quattro mesi».
Giorgio Malavasi