Come l’acqua alta a Venezia di pochi giorni fa. L’immagine tutta veneziana, tanto terribile quanto efficace, arriva al convegno su eutanasia e cura dalla relatrice giunta dal Belgio. E il significato è chiarissimo e subito colto da tutti. Quando si lascia anche solo uno spiraglio, in tal caso legale e legislativo, è come se si aprisse un portone all’eutanasia. Tracima e, alla fine, ci può entrare dentro di tutto e non si controlla più niente.
Prima si pongono dei limiti che sembrano stringenti ma poi, di fatto, questi sono via via soppiantati sia nella mentalità della gente che nella pratica. E si spiana la strada verso il suicidio assistito e forme di eutanasia molto più “larghe”. Che possono riguardare non più solo i casi definitivi “eccezionali” ma (sin da oggi) chi è anziano o (si) ritiene che abbia già compiuto il meglio del suo percorso di vita, chi è soggetto da demenza o depressione o da una sofferenza percepita come irreversibile e non attenuabile, perfino i bambini…
E così facendo si depotenzia, tra l’altro, tutta la forza e il valore delle cure palliative che, invece, potrebbero realmente venire incontro alla sofferenza e alla solitudine di tante persone, bisognose invece di avere qualcuno che si prenda cura di loro e non di una soluzione estrema e pronta all’uso da richiedere al medico (categoria oltretutto messa in grave difficoltà da norme del genere, insieme a tante altre realtà sociosanitarie).
A raccontare tutto ciò è stata la panoramica della situazione – in Italia e soprattutto in altri Paesi europei (come il Belgio e l’Olanda, in particolare) che da più tempo hanno “legalizzato” l’eutanasia – svolta durante il convegno “Verso l’eutanasia o verso la cura?” che si è tenuto, nel pomeriggio di venerdì 29 novembre, presso l’Auditorium del Seminario Patriarcale alla Salute (Venezia) per iniziativa della Facoltà di Diritto Canonico S. Pio X e dell’associazione Gremio di Bioetica di Venezia.
Lo si è ben compreso specialmente nelle due relazioni principali, quella di Elisabetta De Septis (avvocato e docente di Biodiritto) e di Carine Brochier (direttrice dell’Istituto Europeo di Bioetica di Bruxelles) su ”Bilancio dell’esperienza dell’eutanasia in Belgio” che, inoltre, ha invitato l’Italia a non mollare e a “resistere” sul fronte della vita di ogni persona, altrimenti – ha fatto capire – davvero tutto (il peggio) diventa possibile. A seguire ci sono stati poi gli interventi di Giovanni Poles, Gian Pietro Salvi e Fulvio De Nigris che hanno approfondito ulteriormente i temi delle cure palliative, del diritto di cura e del suicidio medicalmente assistito offrendo anche alcune “esperienze di vita e di speranza”. Quando, appunto, si fa spazio alla cura e non all’eutanasia.
Alessandro Polet