Il dicastero vaticano della Penitenzieria Apostolica ha promulgato oggi un decreto e una nota, concedendo l’indulgenza plenaria ai malati affetti da Covid-19, ai medici e ai paramedici e volontari che gli assistono, anche solo con la preghiera, nonché ai loro familiari.
L’indulgenza plenaria è estesa anche a tutti i fedeli che, come si legge nel decreto «in occasione dell’attuale epidemia mondiale, offrano la visita al Santissimo Sacramento, o l’adorazione eucaristica, o la lettura delle Sacre Scritture per almeno mezz’ora, o la recita del Santo Rosario, o il pio esercizio della Via Crucis, o la recita della Coroncina della Divina Misericordia, per implorare da Dio Onnipotente la cessazione dell’epidemia, il sollievo per coloro che ne sono afflitti e la salvezza eterna di quanti il Signore ha chiamato a sé».
Nella nota che è allegata al decreto, la Penitenzieria ha chiarito anche in quali forme ed in quali modalità è possibile accedere all’assoluzione collettiva, detta anche assoluzione generale. Si ricorda inoltre che la confessione individuale rimane la via ordinaria per accedere al Perdono di Dio.
Papa Francesco, durante l’omelia della Messa di stamattina a Casa Santa Marta, ha voluto sottolineare che, in caso di gravissimi impedimenti, come l’isolamento da Covid-19, i fedeli possono sostiuire alla confessione un atto di contrizione perfetta, impegnandosi ad accostarsi ad un sacerdote per l’assoluzione individuale il prima possibile.
Per approfondire e chiarire gli aspetti di queste nuove disposizioni della Santa Sede, Gente Veneta ha intervistato il cardinale Mauro Piacenza, Penitenziere Maggiore.
Eminenza, stamattina il Santo Padre ha ricordato che il perdono di Dio è sempre accessibile anche se non fosse disponibile un sacerdote per confessarsi. Nel decreto promulgato dal Suo dicastero si fa riferimento anche all’assoluzione collettiva. Potrebbe spiegare brevemente come potrebbe avvenire e a quali condizioni?
«La Chiesa guarda sempre con materna sollecitudine a tutti i suoi figli, specialmente, in questo tempo, a quanti vivono la prova della malattia a motivo del contagio del Covid-19, e si preoccupa della loro “salute”, certamente nella giusta e doverosa prospettiva terrena, ma ancor più nell’accezione fondamentale di “salvezza”. Sappiamo come l’emergenza pandemica abbia indotto i governi nazionali ad assumere temporaneamente disposizioni restrittive delle libertà personali, arrivando a condizionare, nell’indispensabile dialogo con la gerarchia ecclesiale e per ragioni di bene pubblico, anche l’esercizio delle libertà religiosa e di culto.
La preoccupazione del Santo Padre, che in quanto successore di Pietro porta la responsabilità “personale” per l’intera Chiesa Cattolica, e con lui la preoccupazione della Curia Romana che è costituita al servizio del ministero petrino, si è rivolta in modo particolare a quei fedeli contagiati e in pericolo di vita, cui fosse impedito l’accesso ai sacramenti. Come il Santo Padre ha richiamato questa mattina e come viene riportato dalla stessa Nota odierna della Penitenzieria Apostolica, in piena conformità con quanto insegnato nel Catechismo al n. 1453, la contrizione perfetta accompagnata dal votum sacramenti può ottenere il perdono di Dio anche per i peccati mortali compiuti dall’ultima confessione sacramentale e non ancora confessati.
Cos’è la contrizione perfetta e cosa il votum sacramenti? Per “contrizione perfetta” la Chiesa intende quel “dolore” per i peccati commessi, determinato non tanto dal timore per il castigo eterno ch’essi meriterebbero, quanto piuttosto dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa. Questo dolore per amor di Dio è chiamato dolore – o contrizione – perfetto. Il dolore per i peccati commessi include sempre, anche il proposito “attuale”, la ferma decisione cioè di non commetterli più per l’avvenire. Laddove poi non si potesse accedere immediatamente al sacramento della riconciliazione, questo dolore perfetto, espresso in una sincera richiesta di perdono a Dio e accompagnato dal votum sacramenti può ottenere il perdono di Dio anche per i peccati gravi compiuti. Il votum sacramenti è l’impegno assunto davanti a Dio – votum – di ricorrere al sacramento della riconciliazione appena possibile.
Vorremmo con tutto il cuore che questa condizione di drammatica solitudine del fedele ammalato non dovesse mai verificarsi o che avvenisse il meno possibile, ma purtroppo le notizie di questi giorni confermano i nostri timori. Ferma restando questa consolante possibilità, della quale i fedeli devono venire opportunamente edotti con ogni mezzo atto a questo scopo, la Chiesa è continuamente spinta a cercare il modo per raggiungere “sacramentalmente” questi fratelli e sorelle contagiati, perché sappiamo che Cristo stesso, che della Chiesa è il Capo, per mezzo nostro vuole raggiungerli e salvarli.
Nell’attuale situazione pandemica, come riportato dall’odierna Nota della Penitenzieria Apostolica, ricorrono senza alcun dubbio i casi di grave necessità di cui al can. 961 CIC, in presenza dei quali, è consentito ai ministri ordinati impartire l’assoluzione collettiva, senza la previa confessione individuale, ferma restando la necessità ad validitatem per i fedeli che la ricevano, da un lato, di un pentimento sincero per i peccati commessi e, dall’altro, del votum confessionis, vale a dire l’impegno assunto davanti a Dio di confessare, appena possibile, i peccati che in quel momento non era possibile confessare. Trattandosi della celebrazione di un sacramento, è necessario che il sacerdote sia fisicamente presente laddove si trovano i fedeli cui rivolge l’assoluzione e che questi possano udire le parole dell’assoluzione a loro rivolte e, prima ancora, i fondamentali inviti alla preghiera, al pentimento e al votum confessionis. Molto concretamente, il sacerdote, per esempio, potrebbe raggiungere l’ingresso del reparto ospedaliero e, assunte tutte le dovute cautele, servendosi ove possibile di un mezzo di amplificazione della voce, offrire ai ricoverati un brevissimo momento di “preparazione” e poi impartire loro l’assoluzione collettiva.
Se la preoccupazione, comprensibilissima, dell’autorità sanitaria fosse quella di non rischiare che i medesimi cappellani ospedalieri che offrono assistenza spirituale ai fedeli contagiati, raggiungendo poi gli altri fedeli ricoverati nell’ospedale rischino di spargere ulteriormente il contagio, l’odierna Nota della Penitenzieria Apostolica suggerisce ancora di considerare la necessità e l’opportunità di costituire, in accordo con le autorità sanitarie, gruppi di “cappellani ospedalieri straordinari”, anche su base volontaria, affinché vi possano essere sacerdoti che, durante questa emergenza pandemica, siano interamente dedicati solo ai fedeli contagiati. Se il personale sanitario impegnato giorno e notte, in modo eroico, rischia la vita per salvare vite umane, molto di più i sacerdoti di Cristo, che a Lui hanno consacrato la propria intera esistenza, possono rischiare la propria vita per servire la Vita nuova ed eterna dei fratelli e delle sorelle infermi. La Chiesa non dispera di fronte alla morte, ma la affronta nella certezza che Cristo stesso, Dio fatto uomo, è morto per amore nostro ed è risorto, cosicché chi crede in Lui e Lo serve con amore non deve mai temere alcunché, né nella vita, né nella morte».
Nel decreto di oggi la Penitenzieria ha concesso l’indulgenza plenaria ai malati di Covid-19 e a coloro che si prendono cura di loro: l’indulgenza potrebbe essere ottenuta da un moribondo con l’atto di contrizione perfetta?
«Le condizioni ordinarie, sempre indicate dalla Chiesa, per accedere al tesoro delle indulgenze, sono la confessione sacramentale celebrata entro gli otto giorni precedenti o successivi, la comunione eucaristica e le preghiere secondo le intenzioni del Santo Padre.
Tuttavia, possiamo affermare con assoluta certezza che, se la contrizione perfetta accompagnata dal votum sacramenti sono condizioni necessarie e sufficienti per ottenere da Dio il perdono dei peccati anche mortali, lo saranno ancor di più per ricevere il bene dell’indulgenza, vale a dire la remissione anche delle pene dovute per i peccati commessi. Dio non chiede agli uomini poco o molto, ma semplicemente “tutto” e se il “tutto” che un fedele può dargli, in un dato momento, è il proprio pentimento sincero, il proprio amore di figlio, la richiesta di perdono e l’impegno di confessarsi appena fosse possibile, allora questo “tutto” è ciò che Dio cerca in questo figlio, per riversare su di lui le ricchezze inesauribili del proprio amore».
Il decreto inizia con le parole di San Paolo ai Romani “Siate lieti nella speranza” (Rm 12,12): come vivere la sofferenza nel segno della luce di Cristo?
«Anzitutto sapendo che il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha rinnovato e trasfigurato tutte le cose: la vita umana, il matrimonio e la famiglia, la preghiera e il culto a Dio, i rapporti interpersonali, fino a rinnovare e trasfigurare anche la sofferenza e la morte. Il problema della sofferenza e della morte, di fronte al quale l’uomo non ha mai potuto trovare una “soluzione” soddisfacente, hanno adesso in Cristo un nuovo significato e la definitiva risposta.
Non sono mai, come è ovvio, realtà desiderabili in se stesse, ma inevitabilmente toccano la vita di ogni uomo e, in questo momento storico, la minacciano a motivo di questa emergenza pandemica. Queste due realtà – la sofferenza e la morte –, in Cristo, assumono una dignità e un significato nuovi: non sono più luoghi nei quali regna il “non-senso”, cioè il “non-Logos”, bensì luoghi nei quali Gesù di Nazareth, il Logos eterno, il Figlio di Dio fatto Uomo, è entrato con la sua persona e ha portato la luce definitiva della sua Pasqua.
Un cristiano battezzato, che sia chiamato a vivere la prova della malattia e della sofferenza, sa che il proprio corpo, la propria vita appartengono a Cristo, sono immersi nella vita e nella persona di Cristo e, perciò, che la propria stessa sofferenza diviene misteriosamente “luogo di salvezza”, occasione cioè per una più grande intimità e comunione con il Signore Crocifisso e Risorto. Anche la morte, in Cristo, viene trasfigurata e definitivamente sconfitta, perché viene come “assorbita” dalla sua morte sulla Croce e dalla luce nuova della sua risurrezione.
Imploriamo dalla Madonna, che per prima e perfettamente ha creduto nella divinità del Figlio e nella sua vita più forte della morte, che come Madre ha sorretto gli Apostoli nell’ora della prova e nell’attesa della Pentecoste, che per prima è entrata, in corpo ed anima, nella luce della sua risurrezione, che ci ottenga di vivere con Lei queste vicende e di sperimentare, ora e sempre, la certezza della Presenza di Cristo, la fiducia nella potenza della sua risurrezione, la libertà ineguagliabile di offrire a Lui, senza timore e in letizia, tutta la nostra vita, perché voglia unirla interamente a sé, in questa vita e nell’altra».
Marco Zane