La data c’è e ormai tutte le famiglie la conoscono: dal 1° luglio scatterà il nuovo assegno unico per i figli che andrà a modificare radicalmente le politiche di welfare famigliare del nostro Paese. Quello che ancora non si conosce è se quell’assegno sarà più o meno sostanzioso, con il rischio – sono già state fatte alcune simulazioni – che molte famiglie arrivino a percepire meno di quanto oggi ricevono con i vari bonus. «I regolamenti attuativi, che ancora non ci sono, faranno la differenza», spiega Cristian Rosteghin, vice presidente delle Acli del Veneto. «Purtroppo come accade spesso in Italia si punta molto sugli annunci, mancando poi di concretezza». Quella concretezza che è data dai numeri e in particolare da quanti soldi lo Stato metterà a disposizione. Non solo: «Proprio perché è già stato calcolato che molte famiglie andranno a rimetterci, dovranno essere previste delle clausole di salvaguardia per colmare quel gap», aggiunge Rosteghin.
Assegno più leggero di prima. E’ stato infatti calcolato che circa 1,3 milioni di famiglie potrebbero ricevere meno rispetto ai bonus attuali (l’assegno unico va a eliminare bonus bebè, bonus mamma, assegni famigliari), soprattutto per quanto riguarda i lavoratori dipendenti. E’ vero che il nuovo assegno può arrivare fino a 250 euro a figlio dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni, ma secondo alcune stime – per fare un esempio – con un Isee di 52mila euro, il contributo scenderà a 67 euro mensili per i figli minorenni e a 40 euro per i maggiorenni. I più sfortunati, in questa simulazione, arriverebbero a perdere circa 380 euro l’anno. Ed è qui che entrano in gioco le clausole di salvaguardia che il Governo dovrà introdurre per colmare queste disparità. E per farlo dovrà aumentare il fondo di almeno 800 milioni l’anno, se non di più. «Attendiamo i regolamenti per capire», ripete Rosteghin che sottolinea come i tempi inizino a diventare stretti. «Se il primo assegno andrà erogato con la busta paga di luglio, tutto dovrà essere pronto molto prima, altrimenti come faranno i datori di lavoro a calcolare l’importo da erogare?». Le regole dovranno uscire per tempo, certo non il 30 giugno.
Isee da fare in fretta. E nel frattempo le famiglie dovranno munirsi dell’Isee. Un dettaglio, questo, non da poco. Finora, infatti, per ricevere gli assegni famigliari in busta paga era sufficiente fornire alcuni dati al datore di lavoro. Ora invece si dovrà prendere appuntamento in un Caf e farsi calcolare l’Isee, che mette insieme il reddito percepito, ma anche le eventuali proprietà e altre entrate, laddove ce ne siano. Reddito che riguarda la famiglia e non il singolo. Ecco perché più di qualcuno potrebbe rimetterci. Torniamo all’Isee: per essere pronti a luglio bisognerebbe iniziare fin da subito a contattare i Caf, predisporre tutti i documenti necessari (che non sono pochi) e presentarsi all’appuntamento. «Tenendo conto, però, che i Caf in questo periodo sono già impegnati con i 730 e con il reddito di emergenza, per cui si rischia un ingorgo. I tempi, insomma, sono stretti». Ma perché scegliere la data del 1° luglio per partire? Spiega Rosteghin: «Si tratta di un retaggio storico, perché le dichiarazioni dei redditi andavano presentate entro maggio. Ora non è più così. Altra incongruenza: consideriamo che l’Isee si fa sulla base dell’ultima dichiarazione dei redditi: lo faccio ora, quindi, e ho una fotografia che risale al 2019. E con quella fotografia si andrà avanti per un anno, visto che l’assegno parte a luglio. Dunque con un Isee riferito a due anni prima». Se nel frattempo la situazione di una famiglia è cambiata – e i casi sono tantissimi visto il sopraggiungere della pandemia nel 2020 – si può richiedere l’Isee corrente, che con i dati in possesso al momento, fotografa la situazione attuale. Questo tipo di Isee dura sei mesi e poi va rifatto. «Tempistiche e scadenze, insomma, andavano pensate meglio».
Lavoratori autonomi, nebbia fitta. Per non parlare dei lavoratori autonomi e degli incapienti, che finalmente si vedono riconoscere il diritto ad avere delle agevolazioni per la famiglia, laddove fino ad ora ne erano esclusi, ma per i quali ancora nulla si sa. «E’ giusto che questa misura sia universalmente riconosciuta, ma per queste categorie – riflette il vicepresidente Acli – ancora non si conoscono le modalità con cui l’assegno dovrà essere richiesto e poi verrà erogato». Altre criticità riguardano il limite d’età dei 21 anni. «Oggi un figlio che studia o che non lavora è a carico fino ai 25 anni. Ora cosa succederà? A una famiglia con un figlio studente di 22 anni non verrà riconosciuta alcuna detrazione? Anche in questo caso – sottolinea Rosteghin – andrebbero pensate delle clausole di salvaguardia». Detto di tutte queste problematiche, rimane che l’impostazione dell’assegno unico è quanto veniva auspicato da tanto tempo in termini di sostegno alle famiglie. «Non sarà determinante e di sicuro le cifre erogate non faranno la differenza. Ma è una misura più equa, non più legata a iniziative spot. Le famiglie più numerose avranno comunque un sostegno importante, ma – ribadisce Rosteghin – tutto dipenderà dalle cifre a disposizione».
Serena Spinazzi Lucchesi