Sempre meno bambini nelle scuole veneziane e la denatalità è solo una delle cause. Secondo i dati provvisori dell’Ufficio Scolastico Regionale, nell’anno 2018/2019, su un totale di 6.846 iscritti in provincia, 313 bimbi in meno entreranno in prima elementare: un calo del 4,6%.
A soffrire di questa emorragia sono anche le scuole dell’infanzia, in particolare le paritarie. «Nel 2016/2017 – spiega Stefano Cecchin, presidente della Federazione Italiana Scuole Materne (Fism) del Veneto e di Venezia – gli alunni delle scuole dell’infanzia paritarie erano 10.921. Sono scesi a 10.502 l’anno successivo, una riduzione di circa il 4%, e scenderanno ancora a settembre di un ulteriore 6%, arrivando ben sotto la soglia delle 10mila unità».
Pur restando un dato fondamentale, l’ormai cronica carenza delle nascite non è l’unico fattore a cui imputare la colpa. «Un’altra leva che incide – continua il presidente – è l’emigrazione di ritorno: ci sono tante famiglie di immigrati che sono tornate nei loro paesi d’origine». Non tanto gli africani, quanto gli stranieri della prima ondata migratoria, quella arrivata dall’Est: Albania, Montenegro, Macedonia. «Tornano a casa – aggiunge – o perché in Italia fanno troppa fatica sotto il profilo economico, perdono il lavoro e non hanno paracadute sociale o perché, magari, tirando la cinghia, hanno accumulato quel tanto di capitale che basta per avviare nel loro paese una piccola attività». E così: via le famiglie, via anche i bambini.
Nell’ultimo anno scolastico anche il caos legato all’obbligo dei vaccini non ha facilitato la situazione: più di un genitore contrario alle vaccinazioni ha scelto strade alternative. «C’è chi – spiega Cecchin – si è organizzato con i nonni, c’è chi ha sacrificato il proprio lavoro per stare a casa con i figli, c’è la mamma amica che tiene i bimbi in casa propria. Per noi questa è una sconfitta: i bambini così non hanno la possibilità di frequentare i loro coetanei e di farlo all’interno di un gruppo strutturato in un percorso educativo di qualità». Un conto, insomma, è una mamma che si inventa educatrice, un altro avere strutture e personale qualificati. «È un vero peccato – chiosa – che i bambini non abbiano le stesse opportunità».
Ben 190 le scuole di ogni ordine e grado, 661 le classi e 13.888 gli studenti iscritti alle paritarie veneziane nell’anno scolastico appena concluso. Tra docenti, personale di segreteria, cuoche, bidelli e tantissimi volontari – «un dono preziosissimo» dice Cecchin – un piccolo esercito garantisce la crescita integrale dei ragazzi: non solo l’istruzione, ma, sotto il profilo educativo, anche l’attenzione al singolo bambino, il rispetto di sé e degli altri, l’educazione, la capacità di cooperare.
A ritmo di un 4% di calo di iscrizioni all’anno, però, le scuole paritarie rischiano di avere davanti un percorso a ostacoli. Secondo le stime Fism, in Veneto ne chiuderanno 8-10 l’anno, una o due a Venezia. «Chiusure fisiologiche: – spiega il presidente – tenere una scuola aperta con due sezioni è un’enorme fatica. Con una cerchiamo di farlo soprattutto lì dove, come per esempio nelle isole veneziane, la scuola resta un collante sociale, dove la comunità stessa spinge e si impegna per mantenerla perché chiuderla significherebbe perdere la propria identità».
Per non arrivare a soluzioni drastiche, secondo Stefano Cecchin, qualche precauzione da prendere c’è. Avere, ad esempio, un numero congruo di insegnanti rispetto ai bambini presenti – il 70% delle risorse se ne va in stipendi – e, soprattutto, avere ben chiaro il costo standard di ogni bambino per la struttura. «Servono competenze – aggiunge – soprattutto per i laici presenti nei comitati di gestione. Le risorse sono sempre le stesse: le rette, che si tende a non voler mai aumentare, coprono il 60%, il resto arriva dallo Stato, dal Comune e dalla Regione».
Poi, ancora, razionalizzare su gas, energia elettrica, assicurazioni, cercando di stipulare convenzioni ad hoc, strappando prezzi vantaggiosi sulle forniture. «Infine – conclude il presidente Fism – cercare, anche con l’aiuto del Patriarcato e alla luce delle collaborazioni pastorali, di mettere in rete le scuole. Due strutture diverse, magari sotto la stessa parrocchia, potrebbero avere in comune il coordinamento didattico o l’attività di segreteria». Farsi la guerra tra poveri sarebbe inutile e senza senso.
Chiara Semenzato