Hanno lo smartphone tra le mani già alle elementari, per loro la connessione a internet non conosce limiti (come recita la pubblicità) e le relazioni virtuali diventano tanto vere e importanti quanto quelle reali. Sono i giovanissimi “abitanti” del mondo del web, frequentato con assiduità fin dalla prima adolescenza. Viaggiano in rete già in quinta elementare, accedono ai social aggirando i limiti d’età, per giocare, per scambiarsi video e foto, per restare connessi al mondo anche quando si è nel chiuso della propria stanza. Vietare del tutto è inutile, mettere dei paletti invece è importante. Perché i rischi ci sono e i genitori si sentono impotenti. «E’ la questione che ci viene posta più spesso. I genitori ci dicono che non capiscono la tecnologia, non sanno come intervenire e per questo si sentono, appunto, impotenti», riferisce Francesco Moret, educatore dell’associazione Solidarietà Dicembre ’79, che con la collega Giovanna Bortoluzzi, psicologa e psicoterapeuta, sta tenendo degli incontri proprio sul tema delle nuove tecnologie.
La riflessione dei due operatori dell’associazione Solidarietà Dicembre ’79 prende come punto di partenza il progetto portato avanti in questi ultimi anni nelle scuole elementari e medie di Eraclea (promosso e finanziato dai Servizi sociali del Comune di Eraclea): sono stati consegnati dei questionari ai ragazzi, per poi sviluppare alcune riflessioni insieme a loro sull’utilizzo delle nuove tecnologie. I dati, ovviamente, riguardano una piccola porzione di territorio (89 i bambini di quinta elementare coinvolti, 158 quelli di prima e di seconda media), ma possono essere presi a modello per meglio comprendere il rapporto tra gli adolescenti, della fascia d’età 10-13 anni, e l’universo del web.
Quel che emerge immediatamente è la diffusione, tra i giovanissimi, dello smartphone. «Tra i bambini di quinta elementare risulta che già il 51% di loro ha il cellulare. In molti casi viene regalato in occasione della Prima Comunione, quindi quando sono in terza elementare», riferisce Francesco Moret. E oltre a quella metà di bambini che hanno già uno smartphone proprio, «va considerato anche che un altro 28% utilizza il telefono dei genitori. Significa quindi – sottolinea l’esperto – che tre ragazzini su quattro usano regolarmente lo smartphone». Una percentuale che ovviamente sale ulteriormente se si passa ai ragazzini delle medie.
Internet. Smartphone significa soprattutto internet, nelle varie accezioni: social, videogames e youtube. Per questo è interessante il dato relativo al tempo trascorso in rete, almeno quello riferito ai bambini di quinta elementare: «A questa domanda rispondono di trascorrere on line non più di un’ora al giorno, nel 65% dei casi. Vuol dire che, in quella fase, hanno molto altro nella vita al di fuori del mondo virtuale. Inoltre – sottolinea il dott. Moret – a questa età i limiti posti dai genitori hanno ancora effetto». Da non trascurare, però, quel 13% di bambini che ha dichiarato di rimanere on line per più di tre ore al giorno. Un tempo che, a quell’età, appare davvero eccessivo. La facilità di accesso alla rete è un altro dato su cui riflettere: «Il 79% dei ragazzi che utilizzano lo smartphone hanno l’accesso libero a internet». Significa che sono dotati di un abbonamento a internet fornito dal gestore (e pagato dal genitore) e non sono limitati ad accedere alla rete solo in caso di presenza di wi fi (con tutte le limitazioni, di tempo e di luogo, che invece il wi fi questo comporterebbe).
Social. Chi va on line, approda immancabilmente ai social. «Non tanto Facebook, che è considerato complicato nell’accesso e utilizzato soprattutto dagli adulti, quanto piuttosto Instagram, che è molto più immediato», precisa Moret. Va ricordato che per accedere ai social ci sarebbe un’età minima (intorno ai 13 anni), ma questo limite viene aggirato costantemente. Nell’utilizzo dei social network emerge un altro dato importante: «Il 43% dei ragazzi intervistati dichiara di avere tra le amicizie persone che non conoscono direttamente». E’ una percentuale alta, che merita una particolare attenzione da parte dei genitori, anche se va ben contestualizzata: «La persona che non si conosce direttamente può essere un personaggio famoso, oppure un contatto stabilito mediante le chat di gioco, collegate cioè ai videogames. Qualche volta, però, può trattarsi di uno sconosciuto a tutti gli effetti, adulto o coetaneo».
Foto e video. La pubblicazione in rete di proprie immagini o video è un aspetto da prendere in considerazione con attenzione, perché qui potrebbero insinuarsi risvolti pericolosi. «Per quanto riguarda i bambini di quinta elementare solo il 30% di coloro che utilizzano gli smartphone dichiarano di aver pubblicato foto o video di se stessi. Questo – sottolinea il dott. Moret – è indicativo del fatto che a quell’età i limiti posti dai genitori vengono ancora rispettati. Diverso invece è il discorso per quanto riguarda i ragazzi di prima e seconda media. Qui la percentuale sale infatti al 53%, perché mettere in rete foto e video è strettamente collegato all’esigenza di visibilità che i ragazzi hanno a quell’età. Il bisogno di essere accettati dai coetanei, attraverso la costruzione di una propria immagine, diventa più forte dei divieti posti dai genitori. Anche perché proprio a quest’età si tende a trasgredire le regole».
Brutti incontri. L’ultima considerazione che emerge dal questionario è sulle “brutte esperienze”. «Abbiamo chiesto ai ragazzi se abbiano avuto esperienze sgradevoli in internet. Il 70% fortunatamente risponde di no. Ma in quel 30% di ragazzini che hanno dato una risposta affermativa, ci sono anche esperienze più che altro scioccanti, come può essere la visione di un video particolarmente violento». I pericoli in rete ci sono e bisogna stare in guardia, insegnando ai propri figli di non “dare confidenza” agli sconosciuti, proprio come nella vita reale. Ma è in tutto il rapporto con la tecnologia e con il mondo virtuale che i genitori devono essere presenti, «non con i divieti – afferma l’educatore – ma con il dialogo».
Vietare? Di fronte all’utilizzo sempre più massiccio degli smartphone, connessi a internet, da parte di figli adolescenti (tra i 10 e i 13 anni), non si può alzare bandiera bianca. «I genitori si sentono impreparati e impotenti. Ma non è fondamentale che conoscano la tecnologia, conta soprattutto che siano presenti».
Vietare gli smartphone o bloccare la connessione è controproducente. «Però con i bambini più piccoli è giusto porre dei limiti più stringenti. Ad esempio controllando gli orari di connessione, la durata e cercando di utilizzare i dispositivi insieme», spiega l’educatore. «Quasi nessuno si mette al fianco dei figli per partecipare con loro all’attività che stanno svolgendo. Invece è importante: gli si può chiedere cosa sta facendo, a quale videogioco sta giocando, fargli sentire soprattutto il proprio interesse». Spesso invece il telefono viene messo nelle mani dei più piccoli solo perché non disturbino: «Capita ad esempio al ristorante. Basta che il bambino non rompa e gli si dà in mano lo smartphone. Questo è un atteggiamento che mi sento di sconsigliare. L’utilizzo di un dispositivo senza uno scopo, senza che sia condiviso con il genitore non è consigliabile. Anche perché in questo modo – aggiunge Moret – il genitore non sa cosa sta facendo il figlio on line».
Paletti. Alle elementari, dunque, i paletti devono essere ben delineati: orari, durata di connessione, tenere il telefono fuori dalla camera da letto, partecipare con i figli all’attività. «In questo modo si riesce ad aprire un canale di comunicazione che tornerà utile quando saranno un po’ più grandi».
Passando alle medie, la faccenda si fa infatti più complessa. Molti ragazzi hanno un profilo social, ottenuto mentendo sull’età. «E’ un comportamento che i genitori devono stigmatizzare. Devono far capire ai figli che anche in rete non si deve dichiarare il falso».
Dialogo. Il dialogo continua ad essere l’aspetto più importante. «Se si era aperto un canale già da piccoli, occorre continuare su quella falsariga, interessandosi ad esempio della attività virtuale dei figli. Per loro è comunque una parte della vita reale, perché sono strumenti di comunicazione, e dunque deve essere oggetto di attenzione e di interesse da parte dei genitori. Chiedendo ad esempio come è andata, cosa hanno fatto quel giorno sui social, se hanno trovato qualcosa di interessante».
Buon esempio. Poi c’è il buon esempio dei genitori, nella vita reale (non litigare in auto o al supermercato) e in quella virtuale: «Tanti adulti non si comportano bene sui social, offendono, diffondono fake news, condividono con superficialità. Inoltre il buon esempio – aggiunge l’educatore – si dà anche moderando l’uso del telefono a tavola. Come posso io genitore impedire che mio figlio stia su Whatsapp mentre pranziamo, se poi sono io a rispondere continuamente ai messaggi?».
Tra i comportamenti da tenere con prudenza c’è anche la pubblicazione delle foto dei figli. Non solo per i rischi di eventuali utilizzi da parte di malintenzionati, ma anche per una questione di rispetto. «Che messaggio sto dando a mio figlio, nel momento in cui pubblico in rete momenti famigliari, che lo comprendono e che sono un patrimonio intimo della nostra famiglia? Ce ne renderemo conto appieno probabilmente nei prossimi anni. Ma intanto, come genitore, farei bene a limitare la pubblicazione delle foto dei miei figli».
Serena Spinazzi Lucchesi