I gruppi di parola sono “una risorsa potente”, come li definiscono la presidente del consultorio familiare Ucipem di Trento, Annalisa Pasini e la pedagogista Elisabetta Carraro. Gli ultimi due si sono svolti nei mesi scorsi, grazie ai fondi dell’8xmille messi a disposizione dalla Diocesi trentina, e hanno coinvolto un gruppo di sei bambini delle elementari e un gruppo di sette ragazzini delle medie. “In questi gruppi – spiega Pasini – bambini e ragazzi hanno la possibilità di parlare della separazione, delle emozioni che provano e delle fatiche che vivono in un contesto in cui sanno che anche gli altri provano le stesse sensazioni”.
Ogni gruppo di parola si divide in quattro incontri da due ore ciascuno. “I genitori vengono invitati solamente nell’ultima ora dell’ultimo appuntamento”, dice Pasini, che facilita il gruppo assieme a Carraro. “Proponiamo alcune attività che permettono di esplorare le emozioni, per capire ad esempio perché, anziché una casa sola, adesso ne hanno due. Lo facciamo attraverso disegni, attività manuali e giochi, aiutati in questo dall’angolo morbido che abbiamo in sede e da alcuni pupazzetti. Proviamo a ragionare con i bambini su ciò che possono fare per sentirsi meglio, come ascoltare musica, sfogare la rabbia sui cuscini o coccolare i peluche. Oppure passare più tempo con nonni e fratelli, che sono considerate delle vere e proprie risorse”.
Oltre ai gruppi di parola, Ucipem porta avanti anche interventi di “mediazione familiare” per genitori che si stanno separando. Le coppie in difficoltà, come rileva il consultorio familiare, sono aumentate dopo la pandemia. “Nelle situazioni di separazione c’è una grossa conflittualità e tanta rabbia, che possono avere delle ricadute sui figli”, precisa Carraro. I gruppi di parola, però, si occupano delle difficoltà dei bambini nel momento che segue la separazione dei genitori.
“Osserviamo tanta rabbia e tanta tristezza – commenta Carraro – ma anche una buona capacità di affrontare ed elaborare le emozioni. Trovarsi in un gruppo dove anche altri vivono la stessa situazione è una fonte di ricchezza, e offre quella tranquillità che permette di esprimersi, perché di solito questi bambini non hanno un posto dove ‘depositare’ le emozioni”.
Pasini e Carraro concordano nel dire che, se le emozioni non cambiano, il modo di manifestarle muta a seconda dell’età. “I più piccoli sono più spontanei, mentre i più grandi fanno più fatica ad esprimere le proprie emozioni, vivono in difesa”, dice Carraro. Dai gruppi nascono anche amicizie significative, che spingono i partecipanti a tornare più motivati incontro dopo incontro.
“Alcuni di loro vivono delle situazioni molto complesse”, spiega Pasini. “In alcuni casi, infatti, accogliamo bambini che arrivano su segnalazione dei servizi sociali. In altri casi, invece, sono i genitori stessi a decidere di iscrivere il proprio figlio ad un gruppo di parola, magari dopo aver partecipato ai gruppi di mediazione”.
I genitori sono coinvolti nel momento finale, durante il quale il gruppo consegna una lettera scritta a più mani, su una lavagna, per spiegare ai “grandi” le proprie emozioni.
“I genitori rispondono a questa lettera – spiegano Pasini e Carraro – e chi vuole, poi, la legge ad alta voce”. In futuro, dicono le facilitatrici dei gruppi di parola, si vorrebbe lavorare anche con i giovani delle superiori, non solo attraverso dei gruppi di parola, per affrontare il divorzio dei genitori. “Ci piacerebbe – concludono Pasini e Carraro, ringraziando anche la CEI e la Chiesa trentina per il contributo dell’8xmille che consente di sostenere anche queste iniziative – lavorare con queste stesse modalità di gruppo per affrontare le diverse fragilità che stanno emergendo in questo periodo tra i giovani adulti”.
Marianna Malpaga