No tampone no scuola. È il tema prevalente di queste prime settimane di frequenza scolastica. Con la promiscuità inevitabile nelle scuole, in particolare negli asili dove non vigono le regole auree del distanziamento e della mascherina, i primi malanni stagionali stanno mettendo a dura prova il sistema di misure anti-Covid previste a livello nazionale. Sotto pressione in questo momento sono i pediatri che devono valutare, spesso solo da un consulto telefonico, se il bimbo ha un banale raffreddore o se deve sottoporsi al tampone. Dubbio che ora è stato spazzato via dalla circolare del Ministero della Salute che obbliga a esibire l’esito negativo del tampone in caso di assenza da scuola. In Veneto il presidente Zaia vorrebbe ripristinare l’autocertificazione, in caso di sintomatologie lievi, ma spetto al Ministero l’ultima parola. Intanto si continua con i tamponi. E allora in questi giorni sotto pressione non sono più solo i pediatri, ma anche i distretti e gli ospedali dove i tamponi vengono materialmente eseguiti. Per non parlare degli operatori che eseguono i tamponi a domicilio nel caso il bambino non sia nelle condizioni di uscire.
In una mattina 38 tamponi su 40 a bambini piccoli. Per rendere l’idea, sabato scorso al Giustinian sono stati fatti in loco 40 tamponi, di cui 38 a bambini in età prescolare. «Basta uno dei sintomi Covid e il pediatra deve ordinare il tampone» è la risposta dei pediatri chiamati in causa in questi giorni dalle Ulss venete (Padova e Rovigo in particolare) perché ritenuti troppo “generosi” nel prescrivere tamponi. Ma adesso non c’è più il problema della discrezionalità. Chi vuole rientrare a scuola può farlo solo presentando il tampone negativo e il certificato medico che attesta la guarigione dalla patologia (raffreddore, tosse, influenza intestinale) che aveva costretto il bambino a rimanere a casa. Il problema sono i tempi che, data appunto la gran mole di test richiesti, non sono rapidi.
Ma quanto ci vuole per un tampone? Da quando il pediatra allerta l’Ulss e attiva la procedura possono volerci tra i due e i quattro giorni per l’esecuzione del tampone. Un altro giorno, ma spesso due, per avere il risultato. A questo punto, il bambino può tornare a scuola. Solo che nel frattempo passa quasi una settimana durante la quale il bambino è in quarantena fiduciaria mentre ai genitori viene caldamente consigliato di non uscire o comunque di limitare al massimo i contatti sociali. Significa non potersi recare al lavoro, con le conseguenze del caso. Chi può ricorre allo smart working, altrimenti il pediatra o il medico di base può fare a uno dei due genitori il certificato “malattia bambino” (e l’altro genitore?), che significa poter stare a casa, ma se il bambino ha passato i tre anni, i giorni disponibili sono solo 5 all’anno e a stipendio zero per quei giorni. Oppure ancora si può fare ricorso al congedo Covid, con stipendio ridotto al 50%. Almeno fino a che sarà in vigore lo stato d’emergenza…
Assenze dal lavoro, chi paga? «Ma per quanti giorni ci si potrà assentare dal lavoro per “attesa tampone”?». Lo chiede ad esempio Cristina Fiorente, 37 anni mamma di due gemelli di un anno e mezzo. La scorsa settimana uno dei due bambini ha avuto una mezza giornata di febbre e la pediatra ha ordinato al piccolo il tampone per il Covid. L’attesa della risposta è durata qualche giorno. E naturalmente Cristina è dovuta rimanere a casa dal lavoro per rimanere con il bimbo. Nel suo caso il pediatra ha demandato al medico di base il compito di fare a lei il certificato. «Che però non me lo ha voluto fare perché il certificato per “attesa tampone” non esiste. A me è sembrato francamente assurdo, perché ci devo rimettere io?».
Alice D’Este
Serena Spinazzi Lucchesi