Non c’è musicista che non abbia un motivo, dichiarato o meno, per ringraziare il maestro Guillou, organista francese deceduto lo scorso sabato all’età di 88 anni.
Come tutti i grandi sembrava poter sfidare le leggi del tempo, avendoci abituati ad una eterna giovinezza artistica, intrisa di impulsi creativi inesauribili, espressi nelle sue opere e trasfusi ad allievi ed estimatori.
Titolare del grand’organo di Saint Eustache a Parigi per oltre un cinquantennio, aveva formato generazioni di organisti di ogni nazionalità e plasmato col suo pensiero un nuovo modo, personalissimo, di ideare strumenti, di comporre ed eseguire musica per organo.
Guillou progettista ha concepito strumenti innovativi, alcuni già realizzati in Italia, come quelli del conservatorio di Napoli e della chiesa dei Portoghesi a Roma, altri in attesa, quali un nuovo organo per la Basilica della Salute a Venezia.
Guillou era legato a Venezia e in particolar modo alla Salute: fu chiamato nel 1976 ad inaugurare il primo restauro dell’organo Dacci, per volontà dell’allora Rettore monsignor Bertoli, al termine dei lavori finanziati dal comitato francese per la salvaguardia di Venezia; e vi ritornerà nel novembre 2000 per celebrare il primo anniversario della morte di don Giuliano con un memorabile concerto a lui dedicato alla presenza del Seminario, dei suoi responsabili e di un pubblico ampio di ammiratori e curiosi: per l’occasione furono riempite di sedie tutti gli spazi disponibili della Basilica.
Guillou eseguì in prima assoluta per l’Italia i suoi Pieces Furtives op. 58 ed una indimenticabile, inedita Fantasia Cromatica e Fuga di Johann Sebastian Bach; l’improvvisazione conclusiva fu introdotta dalla proposta dei temi gregoriani cari a don Giuliano da parte del coro del Seminario: l’Inno Placare Christe Servulis, l’Alleluia, veni Sancte Spiritus e l’Ave Maris Stella di Ravetta.
Chi vi assistette può testimoniare la sua maniera geniale di utilizzare uno strumento antico quale risorsa sonora capace di proiettarsi in un futuro possibile, ampiamente descritto nel suo libro “L’orgue, souvenir et avenir” (disponibile anche nella versione italiana a cura di un traduttore veneziano “L’organo, memoria e futuro”).
Al Dacci della Salute, espressione artistica cristallizzata dell’organaria veneta, confinato nell’immoto presente virtuale dei beni artistici da tutelare e consegnare incorrotti alle generazioni future, il maestro francese seppe dare nuova vita percorrendo strade al di fuori d’ogni prassi esecutiva e dai rituali della musica d’epoca, facendone scaturire luci, colori, profondità, rivelando colore timbrico, ricchezza d’insieme, duttilità e potenza sonora insospettabili: la voce secolare della Basilica, la voce d’ogni tempo, “memoria e futuro” di uno strumento che da sempre accompagna la storia dell’uomo.
A Venezia ricordiamo i suoi concerti nelle basiliche di San Marco negli anni Settanta, dei Frari e alla Madonna dell’Orto in epoca recente, fino all’ultima apparizione, nel maggio 2018, nella chiesa dei Carmini.
Paola Talamini