«Anche quest’anno al Lazzaretto Nuovo siamo riusciti a esumare dalle fosse comuni i corpi di una quindicina di veneziani periti a causa delle epidemie di peste nel XVI e XVII secolo», spiega Gerolamo Fazzini, presidente di Archeoclub Venezia e instancabile artefice di studi e progetti di rinascita dei Lazzaretti veneziani.
«Ci siamo riusciti – continua – grazie all’opera incessante di due laureati americani, una indiana e soprattutto di una quindicina di laureati e laureandi australiani», perché l’area dello scavo antropologico dell’antico Campo Santo (ovvero il Cimitero cristiano), sede di questi scavi, è gestito dall’Università della Western Australia di Perth, in base a un progetto di ricerca quinquennale.
Un dato emerso con certezza dalle analisi effettuate sinora sui corpi riesumati e che ha trovato una conferma definitiva proprio nei mesi scorsi è il fatto che la popolazione veneziana nel ‘500 e ‘600 aveva un colorito della pelle olivastra marcatamente mediterranea, come nel Sud Italia o in Spagna. Una realtà del tutto diversa dalla situazione attuale quindi.
Altri studi sono stati poi effettuati dall’Università di Modena, che in particolare ha analizzato i denti per capire – considerato che la peste, diversamente da altre malattie, non lascia tracce nelle ossa – se al loro interno fosse rimasto “intrappolato” qualche batterio fossilizzato. Ma l’esito delle indagini in tal senso è stato negativo. «Ma ulteriori e più approfondite indagini sempre in questa direzione nonché ulteriori e di altro tipo – continua Fazzini – verranno effettuati prossimamente in Olanda». I reperti proprio in questi giorni sono in fase di sdoganamento alla frontiera olandese.
«Quanto agli scavi dietro al Casello da Polvere Est si sono conclusi con il ritrovamento dei reperti di età medievale e di edifici risalenti al convento delle suore benedettine. Invece è ancora parzialmente aperto lo scavo nell’area del Priorado nell’angolo di nord-est. Inoltre al momento ci occupiamo di attività didattiche con i ragazzini delle scuole medie e organizziamo laboratori di restauro sempre al Lazzaretto Nuovo».
A chiudere la stagione invece l’autunnale “Giornata in contumacia”, che da oltre quindici anni riunisce i soci in occasione della Festa della Salute: quest’anno è stata domenica 25 novembre con la consegna degli attestati ai frequentanti dei Campi estivi.
Ma non c’è solo il Lazzaretto Nuovo ovviamente: «Esatto. C’è anche il Lazzaretto Vecchio. Intanto, a settembre, è ritornata al Lazzaretto Vecchio la trecentesca “Vera da pozzo” trafugata nel 1970. Ma soprattutto, negli ultimi 2 anni, abbiamo fatto uno studio delle scritture epigrafiche su pietra di una parte del chiostro che si appoggiava alla chiesa, rilevando una quantità elevata di scritte di ospiti dell’isola, anche famosi all’epoca, risalenti al periodo tra fine ‘600 e fine ‘700. Questa attività è sfociata la scorsa estate in un primo workshop di restauro delle testimonianze pittoriche originali, dove è stato presentato un libro dedicato alle scritture epigrafiche dell’isola dal titolo “Le scritture epigrafiche” a cura della docente dell’università di Perugia Francesca Malagnini, pubblicato da Marcianum Press».
Il tutto nella cornice dei festeggiamenti che cadono nel 2018 per i 550 anni dalla nascita del Lazzaretto e per i 30 anni di attività dell’Archeoclub veneziano. «Che spererei possa continuare ancora a lungo ma sembra che arrivino tagli al Mibact per questo settore e la situazione, per realtà come la nostra, potrebbe diventare difficoltosa. Confidiamo comunque che, in caso, vi siano dei privati di buona volontà che possano aiutarci finanziariamente». Anche perché c’è il “famoso” Museo della Laguna che aspetta da almeno 15 anni il via libera delle istituzioni.
Marco Monaco