Giovani panificatori cercansi. L’appello arriva da Massimo Gorghetto, titolare dell’omonimo storico panificio di via Mestrina a Mestre, ma anche con tanti ruoli istituzionali: è presidente provinciale dell’associazione di categoria, presidente della Federpanificatori Veneto e vicepresidente vicario nazionale della Fippa, la Federazione Italiana dei Panificatori, Pasticceri e Affini.
Largo ai giovani. Uno dei principali problemi del comparto è lo scarso ricambio generazionale che può portare in alcuni casi, quando non si trova chi possa subentrare, anche alla chiusura totale di attività vitali per il territorio. «Ci sono i corsi – racconta – e le scuole di panificazione che magari mandano nelle aziende stagisti e ragazzi a imparare il mestiere. Ma in una classe formata da 30 allievi solo uno o due al massimo continueranno questo lavoro. Gli altri si perdono».
E non è tanto la fatica a spaventare, quanto gli orari. «Fare il pane – continua – non è più faticoso come una volta, ma è un lavoro che ha orari diversi, particolari: i ragazzi la sera escono, il venerdì e il sabato vanno in discoteca, non vengono a lavorare». C’è chi rifornisce altre rivendite e deve avere il pane fresco presto la mattina, quindi comincia a impastare alle due di notte e chi, invece, inizia alle quattro perché vende solo ai propri clienti. Levatacce, comunque, poco allettanti per i giovani d’oggi.
Pane che pane non è. Ma questa mancanza di forze fresche non è l’unico problema del settore che soffre anche la spietata concorrenza della grande distribuzione, criticità particolarmente sentita a Mestre, dove c’è una delle più alte concentrazioni di centri commerciali d’Italia. «Partiamo da un presupposto – spiega Gorghetto – oggi un’azienda che faccia esclusivamente pane non ha futuro. Muore subito. Il trend nazionale è in calo da tempo e Venezia non fa eccezione».
A influire, però, non è stata tanto la crisi perché il pane siamo abituati ad averlo sulla tavola tutti i giorni, «è che da un lato – continua – ci sono tanti prodotti alternativi, dall’altro i centri commerciali, purtroppo, propongono pane che pane non si può definire. Non si sa da dove arriva o chi lo faccia. Spesso è pane congelato che viene dorato alla fine». Gli artigiani sono consapevoli che le persone non partono da casa per andare in un grande supermercato a comprare il pane, ma si coglie l’occasione già che si è là per la spesa settimanale, e «considerata l’alta frequenza di persone in questi posti – sottolinea il panificatore – è tutto mercato sottratto a noi».
Sul pane fresco c’è già una legge regionale, una nazionale è ormai in dirittura d’arrivo. «Non facciamo una battaglia – dice – contro il pane congelato, che è sempre esistito. Ma vorremmo che ci fosse scritto chi lo fa e dove. Sapere, insomma, ad esempio, se è un precotto fatto qualche anno fa in Romania… Per ora non è così». Chiedono trasparenza, insomma, anche a beneficio dei consumatori.
Il costo è un problema? Prodotto spesso snobbato, il pane… Eppure chi lo fa si deve difendere da molti attacchi: si va dai presunti sprechi, molto più diffusi in realtà nella grande distribuzione dove gli scaffali possono essere pieni di pane anche a fine giornata, alle farine usate – fanno davvero male? – al prezzo che in tanti reputano troppo alto. Poi, però, si vanno a vedere i dati «e – sbotta Massimo Gorghetto – i numeri dicono che al Nord il consumo medio di pane è stimato in 80 grammi pro capite. Per una famiglia di 4 persone sono poco più di 3 etti di pane al giorno. Bene: se il pane costa in media 5 euro al chilo, una famiglia spende al giorno poco più di un euro e mezzo per il pane. Come prendere un caffè al bar. Allora: di cosa stiamo parlando?».
E quel profumo di pane che non si sente più quando si passa davanti ai fornai? «Anche questo – conclude – è un luogo comune: una volta i consumi erano dettati dalla fame, oggi si pensa solo alla ricarica del telefonino. Il profumo di pane non lo sentiamo più perché non abbiamo più fame, ma c’è. Il pane è e resta una cosa sacra».
Chiara Semenzato