Dopo cinquantaquattro anni e due mesi di lavoro chiude l’orologeria Zennaro, attività storica conosciutissima dai veneziani. Nata nel ’49 grazie al padre Omero e portata avanti con gran dedizione dal figlio Roberto, quella del 30 novembre scorso è la data che ne ha stabilito la chiusura ufficiale. Situato al civico 5340/A di Cannaregio (a pochi passi dalle Fondamente Nove), del negozio non resta ormai che una saracinesca abbassata con un foglio di carta appeso, scritto a penna, a cui il proprietario ha affidato il compito di ringraziare “tutta l’affezionata clientela” che in quell’attività ha sempre creduto. Un altro – l’ennesimo – pezzo di cuore che Venezia si è ormai forse rassegnata a perdere. Ma stavolta senza nostalgia o rimpianti. E’ lo stesso Roberto Zennaro a dirlo – accompagnato dal suono degli orologi a cucù che, nel negozio che sta svuotando, scandiscono ancora le ore – spiegando come la decisione sia legata al bisogno di godersi la meritata pensione. Riposarsi, insomma, dopo mezzo secolo trascorso a lavorare duramente per molte ore al giorno. Ritmi che – confessa l’orologiaio, classe 1950 – stavano iniziando a pesare fisicamente.
Di padre in figlio. «Devo ringraziare mio padre. È lui – racconta Zennaro – che mi ha trasmesso tutto. A 14 anni, finita la scuola, mi ha proposto di venire a lavorare qui per un anno. Se mi fosse piaciuto avrei continuato, altrimenti sarei tornato a studiare. Mentre lui lavorava io guardavo: un mestiere artigianale lo si impara rubando con gli occhi». Una vita, quella del signor Roberto, spesa per il suo negozio che ricorda di aver chiuso per un lungo periodo, anni fa, solo per motivi di salute. «Il nostro è un ramo che è cambiato tanto nel tempo. A cambiare è stato proprio il sistema di lavorazione, passato dalla meccanica – e la validità di un orologiaio si vede nei lavori meccanici – al quarzo. Per non parlare delle multinazionali che ci hanno chiuso la strada per i pezzi di ricambio. È un’attività che sta scomparendo soprattutto perché non c’è stato un cambio generazionale». E a mutare negli anni è stata anche la zona in cui Roberto ha sempre lavorato. Non solo per quei negozi che non ci sono più, ma anche per quel vociare di bambini che giocavano in campo e che facevano da sottofondo alle sue riparazioni. «Il lavoro deve comportare una soddisfazione e nel mio caso ne ho avuta tanta. È bello ridare la vita ad un orologio che non funzionava più».
Tra sacrificio e soddisfazione. In tanti sono venuti a ringraziarlo e a salutarlo nei giorni scorsi, chi persino con una bottiglia di vino. «La gente è dispiaciuta e mi dice “perdiamo un’istituzione”. Certo, un pezzo di cuore resterà qui e della chiusura ne risentirò col tempo. Ma se penso al sacrificio che comporta la gestione di un negozio la nostalgia mi passa». Di orologi Roberto Zennaro ne ha riparati di ogni tipo e per un numero incalcolabile, tanto da non far più caso al ticchettio delle lancette. Fra questi uno particolarmente prezioso, del ‘700, a cui ha lavorato più che altro per soddisfazione personale. E un aneddoto che ricorda ancora sorridendo è quello di un giovane che gli chiese se per il cambio dell’ora legale avrebbe dovuto aspettare le tre di notte. «A cosa mi dedicherò adesso? A sistemare – conclude – alcuni miei orologi dell’Ottocento e alla realizzazione di miniature, come fari e mulini, fatte con materiali di scarto. Ma soprattutto alla mia passione per la montagna».
Marta Gasparon