Un’edizione che, tra quelle degli ultimi tre anni, ha fatto registrare il bilancio più positivo, raggiungendo l’obiettivo al 100%: c’è grande soddisfazione nel gruppo di giovani “Prove di un mondo nuovo”, organizzatore della “72 ore con le maniche in su”, la maratona di volontariato e servizio che si è svolta dall’1 al 4 novembre e che ormai dal 2011 coinvolge centinaia di ragazzi dai 16 ai 30 anni.
«I riscontri arrivati – racconta il coordinatore, Gianni Pigato – dalle strutture che hanno accolto i partecipanti e dai referenti che hanno accompagnato i gruppi sono stati positivi sia sul fronte delle attività portate a termine, sia su quello dell’approccio che i ragazzi hanno avuto. Non c’è stata alcuna difficoltà».
Difficoltà, e non poche, invece, si sono presentate strada facendo, spingendo a pensare che l’edizione 2018 potesse essere tutta in salita.A partire, ad esempio, dal maltempo che da domenica 28 ottobre ha flagellato anche il nostro territorio e dal minor numero di ragazzi aderenti: quasi 900, tra iscritti e referenti, nel 2017, poco più di 500 quest’anno. «Dopo l’alluvione – spiega ancora – non sapevamo nemmeno se la 72 ore si riuscisse a fare. I ragazzi sono per lo più minorenni: con il maltempo che c’è stato e senza sapere dove sarebbero finiti i loro figli, non è stato facile per i genitori affidarceli».
Poi, cosa da non sottovalutare, c’è stato anche il ponte di mezzo: quest’anno con la 72 ore non si saltavano giorni di scuola. «Invece, alla fine – spiega Pigato – si è iscritto chi aveva veramente voglia di partecipare, dando un contributo importante. Noi cerchiamo di parlare a chi non farebbe mai, o solo raramente, attività di servizio. Saltare giorni di scuola può essere un pretesto, ma poi di fatto il servizio lo fanno e fanno anche un’esperienza da cui traggono considerazioni che la scuola non offre».
Il calo degli iscritti, in realtà, non preoccupa granché: non si è mai puntato ai grandi numeri, sono venuti da soli col tempo. «Quest’anno, poi – dice l’organizzatore – dovendo coprire un bacino meno ampio, inviando meno ragazzi nelle strutture e avendo gruppi più compatti, sono migliorati molto i rapporti e le relazioni, divenuti più solidi». La gratuità è la cifra dell’iniziativa: i ragazzi sanno solo all’ultimo dove andranno. «E – sottolinea Gianni – imparano molto: soprattutto a mettersi a disposizione dell’altro, senza sapere in che ambito opereranno, con chi faranno servizio, chi aiuteranno… Questa è la gratuità. E poi imparano a fare qualcosa di concreto e a conoscere, a essere curiosi, ad approfondire realtà con cui, magari, pur stando dietro casa, non sono mai entrati in contatto».
E, col tempo, qualche frutto la 72 ore lo può anche portare. «Non sono moltissimi – conclude l’organizzatore – i ragazzi che poi continuano il servizio, ma ci sono stati casi di persone delle prime edizioni che hanno continuato come volontari e che, oggi, sono operatori di quelle stesse strutture. C’è poi chi, magari, entra a far parte del nostro gruppo, mettendosi comunque a disposizione. L’interesse verso l’altro e lo spirito di servizio sono cose che sedimentano dentro, che ti formano come cittadino: hai uno strumento in più di valutazione quando hai a che fare con chi non conosci». E questa, di per sé, è già una vittoria.
Chiara Semenzato