«Il nostro non è uno spettacolo. Perché sul palco non c’è alcuna finzione scenica. Noi rappresentiamo la verità, rappresentiamo il Vangelo. Un Vangelo che è vivo e che avviene esattamente in quel momento, su quel palco, che si compie. Il commento più bello degli spettatori è quando ci dicono “Era tutto vero”. Ed è proprio così. Noi sul palco non impersoniamo dei personaggi, noi siamo quei personaggi. Noi veniamo guariti, veniamo perdonati, veniamo amati. Noi siamo testimoni, non attori. Questa è la forza della verità. La forza della rivoluzione e resurrezione».
«Qui si lotta davvero tanto». Marco Zappella è il regista del musical “Credo” che verrà portato in scena dalla Comunità Cenacolo al Parco Bissuola dal 28 al 30 settembre. Ma tentenna a farsi definire “regista”: «Il regista è lo Spirito Santo – afferma – io sono solo un suo collaboratore. La mia professione in realtà è il muratore, l’arte per me è stata una felice scoperta. Non avevo idea di essere in grado di fare tutto questo. Sono il primo che si stupisce di ciò che il Signore ha fatto e continua a fare con me».
Marco Zappella, 50 anni, è stato anch’egli tossicodipendente, come tutti i ragazzi protagonisti del musical. «Sono entrato in comunità con il problema della droga. Una droga che mi stava togliendo tutto. Non avevo più gioia, speranza, felicità. Ero già morto a 23 anni. Sono arrivato alla comunità Cenacolo e ho fatto di tutto per rimanerci. Perché qui si lotta davvero tanto. Ed è un sacrificio che ti dà un risultato, che ti fa cambiare completamente: riconoscere un Dio che è papà e che ama i suoi figli. Sono rinato, anzi risorto. E ora sono sposato, ho 4 figli, continuo a vivere in comunità con la mia famiglia e occuparmi dei ragazzi che vivono la difficoltà delle dipendenze».
«Usiamo la lingua dell’abbraccio». La passione per il teatro è arrivata dopo. Grazie a “mamma Elvira” (Suor Elvira, la fondatrice delle comunità Cenacolo, ndr): «Anche se forse ce l’avevo nel sangue – spiega – mia madre infatti era una grande amante del teatro. L’ho ritrovato in comunità anche se inizialmente io mi occupavo solo degli allestimenti, delle scenografie. Ma la passione è stata sempre più coinvolgente e ora mi occupo di coordinare più di un centinaio di persone tra quelli che sono sul palco e quelli che sono dietro le quinte».
«La cosa più difficile? Riuscire a comunicare a 20 nazionalità diverse: usiamo la lingua dell’abbraccio, della pazienza, del cuore, italiano, inglese, tedesco. Ogni millimetro del palco è conquistato con fatica da ogni persona ma con libertà, ripetiamo all’infinito non per la perfezione in sé, ma perché i ragazzi coinvolti traggano un insegnamento da questa esperienza: si deve lavorare sodo, avere pazienza, aspettare i tempi di tutti, fare fatica. Ma poi la gioia più grande è vedere dei legni che germogliano, vedere persone uscire dal loro guscio, abbandonare la paura di condividere, aprirsi agli altri».
«Alla Bissuola quello che vissuto io per anni». Il musical si terrà in luogo simbolico per la città di Mestre che da anni lotta contro la droga: «Sono stato diverse volte al parco Bissuola e mi sono reso conto della realtà: ho visto lì quello che vissuto io per anni. Ho rivisto la mia storia, fatta di ragazzi che sono sempre li, a fare nulla, a drogarsi e a spacciare. E quindi mi fa molto piacere che tutto avvenga proprio lì dove c’è ancora un cuore di tenebra, speriamo di portare un seme di speranza, noi siamo lì per dire a quei ragazzi che il male non ha l’ultima parola. E non ci interessa se ci insultano, se ci fischiano. Non siamo lì per l’applauso né per il biglietto. Siamo lì per il Signore».
«Nella mia zona, Bergamo, sono tornato tante volte. Tanti dei ragazzi con cui mi drogavo non ci sono più. Conosco qualcuno che è uscito dal giro, che è stato in comunità, ma molti sono “perduti”. Le vie della droga purtroppo non hanno molti sbocchi: o muori, o vai in carcere o perdi la testa. Oggi questo è il rischio maggiore: le droghe sono sempre più sintetiche. E i tempi si accorciano. Una volta un eroinomane andava avanti per anni, oggi invece ti bruciano velocemente e il recupero è più difficile anche se mai impossibile».
La provocazione dal palco. «Per salvare questi ragazzi noi ci rivolgiamo a tutta la città, alle famiglie. Perché mancano sempre più radici stabili, sempre più famiglie sono separate, tanti ragazzi sono viziati. Noi ci rivolgiamo alle famiglie perché riprendano in mano il loro ruolo. Si dice spesso che i giovani di oggi sono peggio di quelli di una volta. Ma io non lo credo. I giovani hanno sempre una marcia in più rispetto alla generazione precedente in ogni epoca. Siamo noi adulti che dobbiamo interrogarci sul perché non ci seguono, non ci parlano, non ci ascoltano. Che valori e modelli abbiamo dato loro? La nostra provocazione sul palco è rivolta a tutti». (GV)