Due bimbetti piccolissimi uccisi dalla madre nell’Icam di Rebibbia, una madre che soffrirà finché vivrà, per il suo raptus omicida; una direttrice che paga le conseguenze di un momento di follia di una detenuta di cui poco si può sapere, ma che era in fase post partum ed aveva avuto a che fare con droghe. Ed ora tutti parlano dei bambini che crescono in carcere.
Ben prima che la tragedia avvenisse, l’associazione “La gabbianella” aveva deciso di organizzare, nell’ambito della rassegna del Comune di Venezia,”Dritti sui diritti”, un convegno sulla necessità di proteggere, con una rete di interventi mirati, i bambini che crescono con le madri nell’Istituto a Custodia Attenuata che si trova presso il Carcere Femminile.
Convegno scomodo, perché avviene proprio quando l’Associazione sta per lasciare il suo più che decennale lavoro di cura per questi bimbi. La Gabbianella lascia perché, dopo aver ottenuto, in seguito a faticose riunioni interistituzionali due accordi: un “Protocollo d’intesa” interistituzionale e una Convenzione con Carcere e Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, nel 2015, per la cura dei bambini, ha constatato che non li si voleva attuare.
Dando le sue dimissioni credeva che sarebbe stato riunito il Tavolo per discutere i problemi emersi; invece il Tavolo è stato riunito proprio da chi non voleva applicare gli accordi ed escludendone “La gabbianella” a cui nessuna istituzione ha più parlato. Come se l’acquisizione del consenso “esplicito e sottoscritto della madre” per fare i progetti per il bambino ( uno degli elementi del contendere) fosse una pretesa dell’Associazione e non una frase del “Protocollo d’Intesa” e simili. In realtà, per motivi non esplicitati, non si voleva coinvolgere in una progettazione sulla vita dei bambini proprio chi da 15 anni li porta all’asilo nido e alla scuola materna, dai medici specialisti, in spiaggia per tutta l’estate, a spasso nei fine settimana.
Nessuno ha fatto presente che il Tavolo, secondo il Protocollo d’Intesa, deve essere convocato dalla Garante e non da altri soggetti, nessuno ha fatto presente che il lavoro fatto non andava buttato alle ortiche ma reso operativo. Così viene trattato il volontariato!
Per questo, soprattutto ora in cui il supporto della Gabbianella viene meno, è giunto il momento di chiedersi se non è il caso di preoccuparsi di dare condizioni di vita sopportabili a madri e figli. Non che “dentro” essi siano privati di qualcosa o vivano in brutte celle, vivono anzi, almeno a Venezia, in ambienti belli, ma la pena è invisibile: oltre alla privazione della libertà, è pena per le madri stare insieme ai figli sempre, senza un attimo di respiro, non potendo contare sul padre dei loro figli, sui fratelli, sui nonni, che possano accudirli un momento.
Solo le uscite dei bambini e l’asilo permettono alle donne, spesso giovanissime, di lavorare o frequentare la scuola a loro volta.
I padri e gli uomini in genere ovviamente non ci sono e questo è causa di sofferenza sia per le donne che per i bambini. Le madri sono nervose, tristi, preoccupate, sempre in attesa di provvedimenti dei magistrati e i bambini ne pagano le conseguenze.
Spesso le donne litigano tra di loro, le agenti sono senza divisa ma devono farsi ascoltare e anche questo sminuisce la madri agli occhi dei bambini … i giocattoli sono pochi, perché vengono privatizzati o perché, se tutti i bambini vogliono lo stesso giocattolo, fanno nascere litigi … L’istituto di pena non si chiama così per nulla.
E poi, finché i piccoli uscivano a tre anni ancora potevano appropriarsi della loro infanzia, a sei rischiano di pagare il frutto della deprivazione di affetti, stimoli ed esperienze per il resto della vita. Che sciagurata idea quella di pensare che la vicinanza della madre avrebbe risolto tutto! Pare che la soluzione a tutto siano le case-famiglia: io non lo credo affatto.
I bambini hanno bisogno di famiglia vera e le madri talora potrebbero scappare dalle case famiglia – talora ottime e spesso disponibili – e tornare a compiere reati. Solo il magistrato può decidere se la pena deve essere scontata in istituti a custodia attenuata, carceri, case famiglia, agli arresti domiciliari, ecc. Di conseguenza ciò che deve fare lo stato è utilizzare tutti i suoi strumenti per fare in modo che i bambini vengano tutelati dovunque si trovino. Negli Icam e nei nidi ad esempio che essi possano godere di uscite regolari e regolari incontri con chi sta fuori ed è da essi amato.
Scuola, salute, continuità di affetti, integrazione nel mondo, anche attraverso documenti regolari per gli stranieri, sono le cose di cui i bambini hanno bisogno. Forme di affidamento, anche solo diurno, o solidarietà familiare, con il ritorno dalla madre verso sera, ad esempio, potrebbero conciliare, per i bambini, la famiglia d’origine ed una buona educazione…
Le madri non possono che essere contente se i loro figli tornano a sera di buon umore. Io spero che lo si possa capire.
Carla Forcolin
Associazione “La Gabbianella”