«Arrivo a Gambarare in punta di piedi e da neofita, ma con la speranza di portare entusiasmo e di riuscire a dare qualche risposta alle persone della parrocchia». È l’auspicio – e insieme lo stato d’animo – con cui don Dino Pistolato fa il suo ingresso come nuovo parroco della comunità di Gambarare.
Domenica 23, alle ore 16 in Duomo, sarà il Patriarca a presiedere il rito dell’ingresso. Che don Dino sia un “esordiente” è certo: per la prima volta farà il parroco e l’ultima volta che è stato cappellano risale al 1986, a Santa Rita, a Mestre. Poi, per don Pistolato, una intensissima stagione di incarichi in Diocesi.
È però altrettanto certo che il nuovo parroco porterà entusiasmo: quell’entusiasmo che ha percorso tutta la sua vita e la scelta religiosa. Nato 61 anni fa e cresciuto a Zelarino, Dino Pistolato entra in Seminario a 19 anni, appena diplomato ragioniere: «Ero attratto – ricorda – dall’esperienza missionaria, anche per via dei Saveriani che avevo conosciuto proprio a Zelarino; poi, però, ho optato per il Seminario diocesano. E ricordo bene il Patriarca Luciani, che mi ha detto il suo “sì”. Ricordo le due udienze che ho fatto con lui, da seminarista. In tutte e due le occasioni mi fece leggere l’articolo di fondo di Le Figaro, per commentarlo. Era un confrontarsi sulle idee: lo trovai molto stimolante».
Al fondo c’era il fascino radicale del messaggio cristiano: «Mi ha conquistato la passione del Vangelo per l’uomo. Ho capito, dalle esperienze che facevo, a partire dal Movimento studentesco, che l’impegno sociale era una parte, ma non era il tutto. L’altra parte dell’uomo, che aveva bisogno anch’essa di aiuto, trovava risposta in Gesù».
Erano anni molto vivaci quelli e Dino c’era dentro con tutto se stesso: «Per tre anni ho guidato il Movimento studentesco. Ho cercato di portare il dibattito fuori dalle logiche ideologiche e abbiamo fatto belle esperienze: per esempio autogestioni con un lavoro culturale solido».
Non solo contestazione studentesca, però: «In quegli anni andavo in parrocchia e facevo catechismo. Parroco era don Giuseppe Marigo. E in parrocchia non mi sono mai sentito né criticato né emarginato per l’impegno nel Movimento studentesco».
Sintonia di fondo anche in famiglia: «Vengo da una famiglia cattolica. La sensibilità per i temi sociali è venuta prima di tutto dall’aria che si respirava a casa. E veniva dalla cultura che mi ha sempre insegnato mio padre, che era un democristiano fedele ma che non ha mai voluto far politica attiva, perché già allora vedeva cose che non gli piacevano. Con lui, quando si ragionava di politica, il discorso andava sempre sui principi fondamentali: il rispetto, la libertà, la tutela dei diritti dei soggetti deboli… A casa mia c’era sempre a tavola un posto in più per il “nonno” o la “zia”, cioè per il povero che passava: non c’erano soldi, ma un piatto lo si dava sempre».
Poi la goccia che fa traboccare il vaso: «Don Giuseppe mi chiede di portare un signore a fare delle terapie. E io lo porto, con la sua auto. E proprio nei momenti di fatica e sofferenza questo signore si racconta e si confida con me. Un giorno chiede di confessarsi e io gli dico che l’avrei portato in parrocchia dal parroco. È un episodio che mi ha segnato molto: mi ha colpito la bellezza di poter dire: “sei assolto dai tuoi peccati, vai in pace”. È una cosa che tutte le lotte politiche e sociali, che pure sono utili, non possono realizzare. Devi andare aldilà. Per me era come chiudere il cerchio di una sensibilità già viva. Il Seminario è stato la scelta conseguente».
Dopo di allora l’ordinazione sacerdotale, nel 1981, per le mani del Patriarca Cè; poi le esperienze da cappellano a Caorle, a Carpenedo e a Santa Rita. Nel gennaio ’86 il Patriarca gli domanda di gestire la comunità per tossicodipendenti Emmaus; poi la lunga teoria degli incarichi diocesani: la vice-direzione e poi la direzione della Caritas, fino al 2014, e tutti gli altri, fino a quello di Vicario episcopale per gli affari generali, che si conclude in questi giorni. E ora l’esperienza a Gambarare, da neofita entusiasta.
Giorgio Malavasi