La confessione. Cioè il fatto che ancora tanti si accostino a questo sacramento. È questo che ha colpito, in modo particolare, don Jürgen Jamin nei suoi due anni di permanenza nella parrocchia di Gambarare.
Don Jürgen, 55 anni, tedesco, negli ultimi anni docente di Storia del Diritto nella facoltà di Diritto canonico San Pio X a Venezia, ha da pochi giorni lasciato la laguna e la parrocchia di Gambarare per svolgere un servizio pastorale in Islanda, dove don Jamin ha già vissuto e operato dieci anni.
Perché la confessione a Gambarare l’ha colpita così tanto?
Perché è ancora molto frequentata. In Germania è più o meno già morta: si confessa praticamente solo in qualche santuario, pochissimo nelle chiese parrocchiali. Qua a Gambarare e anche a Jesolo, dove sono stato quattro anni, il sabato pomeriggio il prete è sempre in confessionale. Non c’è la coda, ma viene sempre gente. Questo è straordinario. E non è l’unica cosa singolare…
Ovvero?
Il Sabato santo, dalle 8 alle 18, confesso ininterrottamente e quando lo racconto a casa, in Germania, non mi credono. Dicono che è una cosa del passato.
E invece?
Invece io credo che sia una cosa attuale, da conservare. In Germania la confessione si è spenta anche per gli sbagli di tanti preti: hanno abolito la confessione individuale, sostituendola con la penitenziale comunitaria. Qui in Italia ho riscoperto il valore della confessione.
Qual è?
Distinguiamo: alcuni si confessano, ma purtroppo non hanno nulla da dire, perché non hanno mai ricevuto una formazione adeguata. Non spetta però a noi giudicare: accogliamo tutti. Ma ci sono tanti che fanno confessioni molto belle e intense. Qui in Italia c’è ancora un fondamento ampio e ricco di fede cristiana, che va mantenuto saldo il più possibile.
E in Islanda, a proposito di confessione?
In Islanda si confessano i fedeli provenienti da altri Paesi cattolici: lo fanno in particolare i polacchi, che ancora credono nel fatto che non ci si comunica se non ci si è prima confessati. Invece, i fedeli islandesi risentono della tradizione luterana e non praticano la riconciliazione, che non è viva nel loro modo di essere cattolici.
Tornando all’Italia e a Gambarare, il fondamento cristiano lo coglie anche nello stile di vita delle persone?
Io sono stato collaboratore in parrocchia solo nei fine settimana. Ma ho sempre avuto sensazione che qui ci sia ancora un buon terreno e che tanti vogliono dare una mano alla parrocchia. Qui a Gambarare, per esempio, c’è un gruppo di volontari, il gruppo dei corresponsabili, estremamente attivo. Da noi in Germania, invece, i sacerdoti fanno fatica a trovare collaboratori volontari.
Quindi a Gambarare percepisce che ci sia ancora un modo bello e ricco di vivere secondo il Vangelo?
Sì. Un esempio: ogni mattina c’è la messa alle 8, ma alle 7 c’è già, davanti al Duomo, un gruppo di anziane signore – davvero pie donne – pronte per fare le pulizie in chiesa. Una cosa che la Germania non conosce. Il fatto è che queste pie donne sentono la chiesa come cosa loro.
Il difetto che vede nella sua esperienza di Chiesa nel Veneziano?
Riguarda la liturgia: talvolta ho la sensazione che si corra il rischio che diventi banale, per esempio nei canti. L’uso del canto gregoriano è più o meno estinto, e questo proprio in Italia! I canti con le chitarre vanno bene, intendiamoci, ma certi canti anni ’70 e ’80, un po’ pop, fan sì che si perda la tradizione e si percepisca il sacro in modo sfocato.
Un’altra esperienza positiva?
Qui a Gambarare ho sempre celebrato al sabato sera la Messa prefestiva, alla quale partecipano bambini e ragazzi che frequentano il catechismo nel pomeriggio. Un bel gruppetto. Al posto di un’omelia ho sempre fatto catechesi in dialogo con loro, per coinvolgerli di più. L’effetto positivo è stato che non solo i ragazzi sono attenti, ma anche gli adulti. Sono rimasto commosso dal modo con cui i bambini partecipano a questa liturgia. E penso che la creatività dei sacerdoti vada investita qui, non nell’aggiornare la liturgia con una frase qua o là; altrimenti la liturgia stessa diventa banale. Dobbiamo piuttosto educare anche i bambini alla sacralità: questo lo sforzo da fare.
Giorgio Malavasi