Non più e non solo olio di palma come materia prima da trasformare in biocarburante nella bioraffineria Eni di Porto Marghera. Ma anche, ad esempio, olio di karité, grassi animali, il matrilox, un sottoprodotto della chimica verde e della plastica biodegradabile, e, magari, in un futuro abbastanza prossimo, anche l’olio di ricino.
Alla ricerca di materie nuove. Va infatti nella direzione della ricerca di nuove materie prime organiche da trasformare in carburanti green, che qui chiamano “cariche”, il futuro dello stabilimento veneziano, primo esempio al mondo di “rigenerazione”, cioè di trasformazione di una raffineria tradizionale in un impianto che, per ottenere energia o combustibili, lavora sulle biomasse.
«L’olio di palma – spiega il direttore dello stabilimento veneziano Antonio De Roma – è servito per dare le specifiche di progetto alle apparecchiature. Ma fin dal 2014 abbiamo cominciato a lavorare anche cariche alternative: nel 2015 erano il 5-6%, oggi siamo in grado di lavorarne dal 25 al 30%. La difficoltà vera è quella di reperirle».
Intanto, però, anche sul fronte dell’olio di palma sono in arrivo novità: se finora, infatti, il prodotto arrivava a Marghera già raffinato nei paesi d’origine, ormai è quasi pronto l’impianto che permetterà di trattarlo in casa, «con vantaggi concreti – aggiunge – perché il trasferimento della materia nelle navi, il trasporto e il trasferimento nei nostri serbatoi rendevano in qualche modo l’olio di palma meno raffinato di quello che oggi noi siamo in grado di fare qui». Su questo fronte la piena operatività dovrebbe scattare a brevissimo, già tra agosto e settembre di quest’anno.
Grassi animali nel motore. Al di là dell’olio di palma, però, la frontiera più vicina come risorsa per i carburanti green è costituita dai grassi animali. «Stiamo testando – dice il direttore – una sezione dell’impianto che può trattarne fino al 10% rispetto alla carica totale. Facendo un calcolo: tra il 20-30% di oli esausti, il 10 da grassi animali e una percentuale di olio di palma già sostituita dall’olio di karité, quasi metà della produzione sarà diversificata con cariche non convenzionali, non in competizione con la filiera alimentare, sostenibili. Rifiuti in sostanza».
I grassi animali che la normativa consente di trattare sono quelli che avrebbero come alternativa l’incenerimento: le carcasse di animali morti per malattia che non possono essere destinati né all’alimentazione umana né a quella animale perché potrebbero essere vettori di infezioni batteriche. Già pronto l’impianto, per ora in funzione con l’olio di frittura: appena arriverà la certificazione veterinaria necessaria, la bioraffineria veneziana porterà a regime anche questa trasformazione.
«Sempre più – sottolinea De Roma – ci stiamo orientando verso le cariche di seconda e terza generazione perché quelle di prima generazione, gli oli vegetali da colture, sono sempre meno indicati dalle norme, che vanno invece nella direzione del riutilizzo, del riuso».
La capacità produttiva. Se per ora in media sono 250mila le tonnellate all’anno di biocarburante prodotto, quando si potrà lavorare con tutte le cariche la capacità produttiva arriverà a 360mila tonnellate all’anno. «Tra il 2021 e il 2022, però, – aggiunge il direttore – a processo di rigenerazione ultimato, se avremo a disposizione più idrogeno, fondamentale nella tecnologia Ecofining e che in futuro sarà prodotto in un impianto apposito, potremmo arrivare fino a 600mila tonnellate l’anno». Ad oggi l’investimento su Porto Marghera è pari a 130 milioni di euro, a cui se ne aggiungeranno altri 50-60 per arrivare alla massima capacità produttiva.
Lo sguardo al futuro. Sul fronte della ricerca di cariche alternative, «stiamo sperimentando – dice il direttore – in Tunisia la coltivazione dell’olio di ricino in terre semi desertiche, una pianta che si accontenta di poca acqua, anche non potabile. Vedremo se avrà la resa utile per avere quantitativi significativi da trattare qui».
Senza sosta, la ricerca: si stanno, ad esempio, sviluppando progetti di cattura di anidride carbonica attraverso le alghe, da cui ricavare poi olio, o di produzione di biofuel dal metabolismo di alcuni batteri sui rifiuti organici. «Siamo aperti – conclude Antonio De Roma – a qualsiasi strada alternativa alle materie prime convenzionali. Siamo già proiettati al decennio 2020-2030».
Se già oggi olio di palma, i resti del fritto serale e le carcasse di polli e maiali girano in alcuni dei motori, chissà quali altre sorprese riserverà il futuro.
Chiara Semenzato