Vive in una città sull’acqua come Venezia ma è il re dei ghiacci. Non li guarda però da sopra come faceva Messner scalando le vette himalayane bensì da dentro. Perché Carlo Barbante, professore di Chimica analitica a Ca’ Foscari e Direttore dell’Ipda (Istituto per la dinamica dei processi ambientali) del Cnr studia i cambiamenti climatici del nostro pianeta attraverso i carotaggi: “carote” di ghiaccio estratte al Polo Sud, al Polo Nord e sui ghiacciai di tutto il mondo, compresi quelli italiani (Marmolada e Monte Bianco tra gli altri). Ma sono anche tante altre le attività scientifiche, seguite dal docente veneziano, che permettono di capire i cambiamenti climatici in atto. L’ultima frontiera è lo studio dei ghiacci marini: «Che viene attuato analizzando iodio e bromo presenti nei ghiacci marini. Questo fa comprendere qual è stata l’evoluzione dell’estensione del ghiaccio marino nel corso dei secoli passati. Oggi – spiega Barbante – ci sono i satelliti che mostrano come cambia l’estensione del ghiaccio marino, ma per il passato si deve sfruttare la presenza di sostanze chimiche naturali come iodio e bromo – al momento nelle zone della Groenlandia, della Siberia e delle Isole Svalbard – per capire qual era l’estensione dei ghiacci marini in tempi remoti».
Il crollo negli ultimi 50 anni. L’esito di questi studi dice che il ghiaccio marino è rimasto stabile per secoli mentre la sua estensione è scesa del 40% negli ultimi 50 anni, un dato che però nell’Artico e nell’Antartico è persino peggiore. «E tra i due – continua Barbante – è il Polo Nord a soffrire in maniera particolare in quanto vi è una amplificazione dell’aumento della temperatura dovuta a fenomeni di autoaccelerazione». In altre parole l’aumento della temperatura fa fondere il ghiaccio marino. E la radiazione solare non viene più riflessa dalla superficie bianca del ghiaccio marino, la cui estensione è diminuita poiché appunto il ghiaccio si scioglie col crescere delle temperature, ma viene assorbita dall’acqua dell’oceano artico, molto più scura. «In questo modo la temperatura, che si sta alzando per i noti effetti dell’anidride carbonica nell’aria, sale ulteriormente – dice Barbante – andando ad autoalimentare esponenzialmente questo circolo vizioso. In gergo si chiama fenomeno di retroazione positiva».
Ice memory, un testamento di ghiaccio. Un nuovo progetto al quale il prof. Barbante sta lavorando e di cui è coordinatore si chiama Ice Memory: «E’ l’estrazione di carote di ghiaccio dai ghiacciai minacciati dai cambiamenti climatici, che vengono poi studiate e conservate nel gelo naturale dell’Antartide (presso la base Concordia gestita dal Pnra, National Antarctic Research Programme) a beneficio delle prossime generazioni di scienziati». Nel giro di appena un anno, il progetto da lui ideato assieme a Jérôme Chappellaz del Cnrs, si è ampliato notevolmente arrivando a coinvolgere scienziati da Usa, Russia, Bolivia, Brasile, Svezia, Svizzera, Austria, Germania, Giappone e Cina. Il tutto sotto l’egida dell’Unesco. Lo scorso anno sono stati carotati ghiacciai sulle Ande e in Svizzera. Ma la spedizione ha toccato anche ghiacciai italiani come il Colle Ninfetti sul Monte Rosa, l’Ortles e la Marmolada e il ghiacciaio del Col du Dôme sul Monte Bianco. «Qui la temperatura è aumentata di 2 gradi in appena 10 anni. Questo fa capire la fondatezza delle stime – lancia l’allarme Barbante – che parlano di ghiacciai sotto i 3.600 metri sciolti entro la fine del secolo, se non prima. Con la banca dati creata con i carotaggi sarà invece possibile garantire alle generazioni future la conservazione dei ghiacci in un unico archivio per ricavare poi informazioni sulla storia del pianeta andando a ritroso di migliaia di anni».
Alla ricerca del ghiaccio più antico di sempre. Un ultimo progetto, infine, è appena nato ma operativamente prenderà il via, mediante le perforazioni, solo tra qualche anno: si tratta della ricerca in Antartide del ghiaccio più vecchio di 1,5 milioni di anni fa (ora coi carotaggi si arriva a ricostruire il clima “solo” di 800 mila anni fa) con pozzi, e quindi carote, lunghe anche 2.700 metri. «Sarà in una zona di poco accumulo con gli strati ben preservati. Il sito è posto vicino alla stazione di ricerca italo-francese di Concordia. Si fa questo nuovo studio – conclude Barbante – in quanto tra 800 mila e 1,5 milioni di anni fa i periodi glaciali erano più “caldi” rispetto a quelli successivi, ovvero rispetto agli ultimi periodi glaciali sulla Terra. Si vuole tentare di capire il ruolo dell’anidride carbonica sulla variazione del clima per fare poi un raffronto con la situazione attuale e stimare una tendenza per il futuro».
Marco Monaco