Fede e amore, prima di ogni calcolo e considerazione, sono il criterio fondante di ogni altra scelta. È il messaggio di fondo consegnato dal Patriarca Francesco a Francesco Andrighetti e Steven Ruzza, ordinati sacerdoti oggi, sabato 23 giugno, nella basilica di San Marco.
Don Francesco e don Steven sono la continuità della nostra Chiesa e rappresentano un momento di gioia e di speranza, ha sottolineato il Patriarca. Con lui i parenti e gli amici dei due ordinandi, ma anche tanto sacerdoti della Chiesa veneziana: almeno una novantina.
L’ingresso dei due giovani tra i presbiteri veneziani è anche motivo di gratitudine: innanzitutto «verso verso Dio Padre, il celeste Padrone della messe, perché continua a donare operai per la Sua messe». Poi per tutti coloro che li hanno accompagnati e aiutati nel cammino di formazione: «A quanti hanno pregato per loro, ai formatori del Seminario, alle comunità di provenienza, alle loro famiglie. E ricordo a quanti li hanno sostenuti e incoraggiati, anche con piccoli gesti – rimarca mons. Moraglia – che tutto ciò che hanno fatto è scritto, per l’eternità, in cielo, nel libro di Dio, ove l’inchiostro non scolora e le pagine non sgualciscono».
La riflessione del Patriarca, nell’omelia della Messa, si concentra sulle parole del Vangelo. Queste: «Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6, 31-34).
Parole che aprono a una conseguenza chiara: «Cogliamo la voce di Dio nella nostra vita e le rimaniamo fedeli se non ricerchiamo noi stessi, se non imponiamo il nostro io ma ricerchiamo la sapienza di Dio, il Suo progetto, e ci chiediamo che parte abbiamo in esso. In tal modo, la vocazione vissuta come adesione al progetto di Dio richiede un cuore libero e, poi, il senso vero della povertà considerata non solo come distacco dalle persone, dalle situazioni e dalle cose, ma come distacco da se stessi. La vera e prima povertà, quindi, è il distacco dalla propria volontà; ecco il senso e il fondamento dell’obbedienza che, se non ha qui il suo forte radicamento, si limiterà ad eseguire le richieste che assolveremo come qualsiasi persona che si inserisca in un ordine stabilmente riconosciuto e che, in qualche modo, va rispettato».
Tutto ciò può accadere solo perché «all’origine della chiamata al sacerdozio ministeriale c’è solo Dio, il Padre, la Sua infinita misericordia. E quindi non siamo chiamati a eseguire degli ordini ma piuttosto, attraverso l’esercizio del ministero (gli atti che gli sono propri), a rendere presente Gesù, eterno Figlio del Padre e sommo Sacerdote».
Perciò il Patriarca cita una frase di Sant’Ambrogio e la affida a don Steven e don Francesco perché li accompagni nel loro cammino sacerdotale: «“…non la candidatura dovuta all’iniziativa personale né la propria presa di possesso – scrive il santo milanese – ma la chiamata celeste, così che possa offrire i sacrifici per i peccati, chi sia nella condizioni di soffrire per i peccatori… uno non deve accettare una carica per il proprio interesse, ma essere chiamato da Dio come anche Aronne; così anche Cristo non pretese, ma ricevette il sacerdozio”.
«Carissimo don Francesco, carissimo don Steven – conclude il Patriarca – questo pensiero di Ambrogio entri in voi e plasmi il vostro sacerdozio, così che mai vi impossessiate di un ufficio, qualunque esso sia (parrocchiale o diocesano); allora, in voi, il presbiterato sarà quel servizio che oggi, con molta gioia, vi viene affidato per l’imposizione delle mani del Vescovo».