«Sant’Antonio oggi sarebbe un giovane dal forte desiderio di vivere la vita; dal coraggio di decidere e perseguire i suoi sogni; dalla grande passione per Dio e gli uomini». Lo dice Fra Oliviero Svanera, Rettore della Pontificia Basilica di Sant’Antonio di Padova, nel giorno – il 13 giugno – della festa dedicata al santo patrono.
«Il nostro Santo – argomenta padre Svanera – completati i primi studi, a quindici anni sceglie di entrare nella canonìa di San Vincenzo – comunità di sacerdoti che si ispirano alla Regola di s. Agostino – in Lisbona e poi a Coimbra. E mi colpisce sia questo slancio di uscita dal grembo familiare, animato dalla volontà di mettersi subito in gioco, di rischiare, di assecondare la propria curiosità di capire, di amare e di donarsi. La più antica biografia scrive al riguardo di quel periodo che “coltivava l’ingegno con una forte applicazione allo studio e teneva in forma lo spirito con la meditazione”. E immagino allora che oggi il nostro Santo non sarebbe un giovane che si lascia sedurre facilmente dalle sirene di un godimento schiacciato sul consumo di beni o schiavo della pulsione del “tutto e subito” o di un desiderio sregolato, volubile ed edonista, il cui esito è un cuore sempre insoddisfatto. Poiché “se l’uomo è troppo soddisfatto, non desidera; se non desidera, non domanda, se non domanda è come se vivesse da automa, senza pensiero e senza inconscio” (L. Pigozzi). Fernando – questo il suo nome prima di farsi frate francescano – mi colpisce perché libera da subito la meraviglia e lo stupore davanti al creato; fa’ spazio alla sete del cuore e attiva la domanda sul senso della vita e i suoi misteri; si applica nella ricerca del bene, nel desiderio di conoscere e andare in profondità nelle cose».
Poi, continua il Rettore, Antonio era un giovane coraggioso e tenace nel perseguire i suoi sogni: «Affascinato dallo stile di vita dei frati minori di passaggio a Coimbra e diretti in Marocco per predicare il Vangelo, è conquistato dall’esempio del loro martirio e vuol farsi frate. “Con vivo desiderio – così il biografo fa parlare Fernando – vorrei indossare il saio dell’ordine dei frati minori, purché mi sia promesso di essere mandato, appena sarò frate, alla terra dei Saraceni, nella speranza di essere messo a parte anch’io della corona insieme con i santi martiri”. Grandi sogni, scommessa sul futuro, voglia di vivere, desiderio di mettersi alla prova, fiducia in sé stesso, generosità e desiderio di donarsi… tutto si mescola in questo giovane che, oggi, non si accontenterebbe certo di effimeri piaceri o di proposte di piccolo cabotaggio. Lui ama i grandi orizzonti e affronta con coraggio la prova della vita, perché ha trovato in Dio il vero amore. Non teme così di imbarcarsi per il Marocco, perché ha nel cuore il desiderio di servire il Vangelo e seguire le vie di Dio. E, poiché dietro l’angolo c’è sempre l’imprevisto, ecco che la missione non va a buon fine e la nave che doveva portarlo in patria naufraga sulle coste siciliane. In Italia sarà il suo futuro. Antonio – questo il nome da francescano – non è tanto “un cervello in fuga” ma, diremmo con papa Francesco, “un cervello in uscita”, cioè un giovane sempre disponibile alle suggestioni dello Spirito, aperto a nuove approdi, non solo religiosi, ma culturali e sociali».
E infine era un giovane dalla grande passione per Dio e gli uomini: «Dall’eremo di Montepaolo nel forlivese – dov’era stato destinato dalla prima obbedienza dopo il suo arrivo in Italia – al noce di Camposampiero, dove trascorre gli ultimi giorni di una giovane vita, la sua esperienza spirituale sarà all’insegna della preghiera, del silenzio, del “mio Dio e mio tutto”. Ma in lui contemplazione e azione sono come sistole e diastole della vita. E la tensione spirituale si trasforma in voce profetica, coraggiosa e itinerante per le vie del mondo. Voce che annuncia il Vangelo delle beatitudini e fa propria la passione di Gesù per i fratelli più poveri e per la difesa dei più deboli. E Antonio è un giovane che, come annota il biografo, nelle cose “ci mette la faccia”: “nessun riguardo alle persone lo piegava, né si lasciava sedurre da alcun plauso umano”; “riconduceva a pace fraterna i discordi; ridava libertà ai detenuti, faceva restituire ciò che era stato rapito con l’usura o la violenza”».
Per questo – conclude fra Oliviero Svanera – «il messaggio di Antonio è giovane perché oggi abbiamo bisogno di uomini e donne – di giovani certo, ma anche di adulti impegnati nel sociale, nella politica, nella scuola, nell’economia… – che, come lui, non si accontentino dei piccoli sogni, ma sognino in grande, sapendo che “i sogni veri si fanno ad occhi aperti e si portano avanti alla luce del sole” (papa Francesco). Abbiamo bisogno di ritrovare la sete e il desiderio di un rinnovato umanesimo evangelico, appassionato per Dio, il creato e ogni uomo. E i santi, come il giovane Antonio di Padova, sono coloro che non solo sognano, ma credono nei loro sogni e li realizzano. Qui e ora».