Arrivano sotto a quel muro e la loro reazione li divide in due. C’è chi non vede l’ora di raggiungere i 15 metri d’altezza. Chi, a vederlo così imponente, si blocca. Di coraggio ne hanno da vendere, considerato che nessuno supera i dieci anni d’età. Perché anche chi ci rinuncia non lo fa mai prima d’aver tentato un po’ di scalata.
Ce ne saranno a centinaia aggrappati a quella parete giovedì 26 e venerdì 27 aprile. L’esercito dei mille mini Spiderman è pronto a conquistare il lato sud della chiesa di Gesù Lavoratore. Proprio quella nata nel ’97 per strappare i giovanissimi alle cattive compagnie, con una proposta del tutto fuori dagli schemi: un’arrampicata sportiva in prese sintetiche sopra il muro esterno di una chiesa, a due passi dal degrado di via Fratelli Bandiera.
Ma non tutti i bimbi sono “supereroi” della scalata. E meno male, sostiene chi di questo ne ha fatto la sua passione: «Questi ragazzini mettono in gioco loro stessi e imparano a conoscere i propri limiti» dice Marco Frison, tra gli organizzatori di Arrampilandia 2018: «Non tutti riescono ad arrivare in cima e sono costretti con coraggio a misurarsi con le proprie forze e abilità».
Alcuni di loro vogliono essere calati dopo aver raggiunto pochi metri d’altezza. Ma sorprendono gli istruttori quando vedono i compagni più temerari e chiedono di riprovarci: «Si confrontano con le proprie paure e possibilità – continua – e sono spronati anche quando si scoprono più timidi e timorosi rispetto ai compagni di scuola: allora hanno un motivo in più per superare la paura».
E lui ne sa qualcosa: «Io mi arrampico da parecchi anni sia in montagna che su strutture artificiali. La prima volta che arrivi sotto un muro devi saperti tirare su con le gambe, non con le braccia come si può pensare. Perché il movimento dell’arrampicata, in realtà, è tutt’altro che naturale».
Il bambino in questo caso è costretto a muoversi in modo non convenzionale, applicando l’ingegno: «Deve capire di volta in volta che arto muovere. Il gioco è d’equilibrio, seppur tutto si svolga in sicurezza, imbragati e saldi alla corda dall’alto». Ma non basta a togliere la paura del vuoto sotto di sé. E gli istruttori capiscono subito quando un bambino, e capita a molti di loro, si sente bloccato: arriva sotto, guarda su e non dice niente. «In quel caso sdrammatizziamo, chiediamo il nome, se ha mai provato ad arrampicarsi prima. E poi lo rassicuriamo spiegandogli che è legato e in sicurezza. “Proviamo a fare i primi passi?”».
Un’esortazione che non deve mai trasformarsi in insistenza: «Se così, rischiamo di traumatizzarlo. La volta che forzi è la volta che si bloccano davvero. Cerchiamo di capire un po’ ognuno di loro. Non tutti sono Spiderman. Ci sono quelli super sportivi che si arrampicano come ragni e altri che si intimidiscono alle prime prese». Altri intoppi arrivano quando i ragazzini hanno già raggiunto una buona altezza: guardano giù e non vogliono più né salire né scendere. «Allora la prima prova che facciamo è quella di farli calare dopo pochi metri. Dopodiché, se non hanno timori, facciamo continuare la salita. Altrimenti tornano giù. C’è sempre un addetto che coordina la salita e la calata. Ai primi segni di paura, tanto più se si mettono a piangere, li facciamo scendere».
Poi magari sono gli stessi che, scesi, vedono i compagni farcela e chiedono di ritentare: «Tornano giù, si tolgono l’imbragatura, più tardi vedono il coetaneo fino in cima e vogliono riprovare anche loro. Succede spesso. Magari salgono di pochi metri in più rispetto alla volta precedente. Ma per loro è la vittoria più grande. Perché capiscono che non succede niente di grave».
Per chi arriva ai 15 metri e afferra il campanello in cima, suonandolo con tutta la forza rimasta, si scatena l’applauso di tutti gli altri piccoli rimasti a terra: «Arrivano al campanello e suonano – conferma – e tutta la classe batte le mani. Per non parlare di quando, alla fine, si cimentano anche le insegnanti. Se toccano la meta, i ragazzini fanno il finimondo esultando e osannandole».
Giulia Busetto