Da quale albero è nata la croce di Cristo? Daniele Bonesso ha dato vita a quella pianta. Suoi il testo e le musiche che ne raccontano la coscienza in una pièce teatrale. I primi 127 spettatori ne sono usciti tanto positivi da convincerlo a esportare la sua opera da Quarto d’Altino, sua terra natale, al resto della diocesi e oltre.
Lui è un parrocchiano del piccolo Comune del Veneziano. E lo è anche il resto del team che ha dato vita in una decina di mesi alla sua rappresentazione. «In realtà l’ho scritta nel 2007 e l’ho lasciata per più di dieci anni nel cassetto – spiega l’autore di “Signum, gli alberi non muoiono mai” – perché è nata come monologo, per rappresentarlo avrei dovuto trovare un attore che sapesse reggere più di un’ora di spettacolo».
Allora le parti sono diventate tante quante le fasi della vita dell’albero che nei suoi ultimi giorni, dopo essere abbattuto, ha assorbito il sangue di Gesù.
Dal seme alla croce. Gli attori sono tutti dilettanti. Compaesani, come lui. Come lo sono anche la coreografa Laura Fruncillo e le sue allieve, che hanno arricchito del balletto lo spettacolo. Ma anche il regista, il fonico, la cantante Elisa Silvestri e tutti i sostenitori dell’impresa.
«Raccontiamo l’evoluzione dell’albero da quando è seme e poi diventa croce. Ma anche quando quel legno viene scartato, buttato, marcisce e torna terreno fertile per far nascere un nuovo albero».
La morte e la nuova vita, come quella di chi su quel legno è stato crocifisso. «Ecco perché “Gli alberi non muoiono mai”. Questa cosa naturale si lega all’aspetto spirituale».
E sembra convincere anche chi non ci crede, sostiene il drammaturgo autodidatta: «Abbiamo ricevuto i complimenti da uno spettatore ateo per aver raccontato il senso della vita stessa che ricomincia, del ciclo vitale che rinasce nella natura».
Le emozioni che un albero vorrebbe avere. Prima c’è il seme che vola e che feconda la terra. Poi il pollone che soffre l’ombra degli alberi secolari attorno a lui durante l’”adolescenza”, «e i suoi dubbi su cosa farà, quanto ci vorrà a diventare grande».
Dopo c’è la fase adulta che incrocia anche gli esseri umani, invidiandoli per il loro cuore, «qui l’albero conosce le persone che frequentano il bosco e capisce che loro hanno tutte le emozioni che vorrebbe avere anche lui. Ma quando sente il vento stormire le sue foglie e far nascere una melodia capisce che anche lui è in grado di scaturire emozioni».
Poi il dramma arriva all’apice: l’abbattimento dell’albero. «Cosa ho fatto di male?», si chiede la pianta, precedendo l’ultima scena del falegname che ne lavora il tronco per farne una croce. Mentre la forgia le parla, nel giorno del giovedì santo: «Perché mai dovrei fare a pezzi questo albero per create una cosa stupida come una croce dove le persone, sopra, vanno a morire?». La coscienza dell’albero, alla fine, «trae la summa – ricorda il 52enne drammaturgo – di tutto lo spettacolo: si rende conto di aver visto una cosa mai successa prima, le hanno appeso qualcuno che pensava di vedere morto e invece era di nuovo vivo».
Le radici sono a Quarto d’Altino. Sei gli attori che interpretano una dopo l’altra le diverse fasi della coscienza dell’albero, aiutati dalla struttura modulare della rappresentazione che ad ogni scena intervalla un commento cantato sul pezzo appena visto. Anche una coreografia a inizio spettacolo. Poi una cantante, cinque ballerine, una coreografa, un regista, un responsabile audio, un responsabile luci, un autore. «Con tanta fatica a portare avanti il tutto, perché è uno spettacolo che tocca l’animo della gente ma anche degli attori. Nella drammatizzazione dell’albero che cresceva, ad esempio, non ho scelto un interprete a caso. L’attore ha recitato in modo eccellente, perché ha pescato dal suo approccio avuto con i figli adolescenti. Ha tirato fuori una grande drammaticità».
Un’intera comunità si è attivata fuori e dentro le stanze della parrocchia. «Abbiamo fatto tutto in casa – dice lui -, ci tengo. Anche se l’intenzione è di andare presto in replica in giro per la diocesi e anche fuori. Ma io sono nato qui. E, per restare in tema, a Quarto d’Altino ci ho messo proprio le radici».
Giulia Busetto