«Ogni stazione della Via Crucis ti dice che devi essere presente a te stesso, sempre»: Marco Toso Borella esce ad un certo punto con questa frase. Una frase che spiega molto di quella Via Crucis che ha creato – in vetro, foglia d’ora e smalti – e che ha donato alla basilica dei Santi Maria e Donato di Murano, dove è esposta.
Spiega molto perché dice che l’intento primo è quello di fare una “manutenzione continua” al pensiero sulla passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Non è una vicenda raccontata una volta per sempre, che il credente ha messo in cassaforte e può non curarsene più o che l’artista ha descritto nei secoli scorsi, mettendo la parola fine ad ogni ulteriore rappresentazione.
Innestare il nuovo sull’antico. Essere presenti a se stessi vuol dire raccontare oggi, con la sensibilità e il linguaggio attuali, quella grande storia di duemila anni fa. Marco Toso Borella lo fa “facendo manutenzione” anche alla secolare storia della sua isola e all’arte del vetro.
E – terza “manutenzione” – gli elementi della nuova Via Crucis sono tutti tratti da quel capolavoro di architettura e arte che è, appunto, la basilica dei Santi Maria e Donato.
«Ho cercato un linguaggio che potesse essere sia antico che moderno», afferma Toso Borella: «Ho fatto in modo che le formelle possano integrarsi con lo stile della Basilica, che richiama molto le forme bizantine, sia nell’abside che nel pavimento».
Quindici formelle – c’è anche quella della Risurrezione – in cui non c’è nulla di casuale e c’è un continuo, consapevole uso dei segni e dei simboli antichi, riproposti con la sensibilità dell’oggi.
Tanti gli esempi: «Sul pavimento della Basilica c’è una scacchiera. Mi ha sempre colpito; sembra un monito, una domanda: vuoi essere bianco o nero? Per me è il simbolo del libero arbitrio e l’ho messa nella formella della prima stazione, ai piedi di Ponzio Pilato, nel momento in cui, dovendo prendere una decisione, non la prende».
Ripensare ogni cosa, ogni segno, perché questa è la grande opportunità per noi oggi: non farlo significa non prendere il meglio che la vita ci dà.
Lo spazio e il tempo della Madonna. «Un’altra cosa che mi ha colpito sempre, fin da bambino – riprende il maestro vetraio muranese – è la Madonna che si staglia sull’abside, che non era ai miei occhi così difficile da disegnare, ma che emanava un fascino non semplice da decriptare. Lo studio dell’arte bizantina mi ha permesso di capire il motivo per cui Lei mi appariva non vera. La Vergine appoggia i piedi su un cuscino che non ha linee prospettiche, cioè non segue il punto di fuga: si staglia su un fondo d’oro ed è come sospesa su questo fondo. Non c’è un pavimento che la regga e non c’è neppure un’ombra che dica che ore sono in quel momento. Ed è questo che mi ha sempre colpito: il fatto che Lei è in un tempo che non è un tempo e in uno spazio che non è uno spazio».
Innestare il nuovo sull’antico significa anche utilizzare dei segni della tradizione in modo inusitato: «Mi sono servito di creature leggendarie, che si dice Marco Polo abbia visto: i blemmi. Secondo il mito, i blemmi sono uomini mostruosi, con gli occhi e la bocca sul ventre o sul torace. Mi sono servito di essi per metterli sugli scudi e sulle armature dei carnefici di Gesù. Il volto dei carnefici appare impassibile, ma sulle loro armature ci sono facce talmente grottesche e piene dell’istinto bestiale del male, che parlano esse per i carnefici. Da sempre, d’altronde, l’uomo rappresenta in forma grottesca il male».
«L’uomo più terrificante è quello con il volto da giusto». Nella stazione in cui è crocifisso, poi, Gesù viene issato sulla croce da due uomini: «Uno è a torso nudo e ha un’espressione bestiale; l’altro, invece, ha la faccia del giusto perché il male non è solo istinto, non è solo desiderio bestiale, ma può avere un volto ragionevole. Ed è questo che fa più paura. L’uomo più terrificante è quello con la faccia giusta, perché è il male con la maschera addosso, nascosto così per poterti fare più male. Perché se tu lo potessi riconoscere, non cadresti nelle sue spire».
Simboli e segni dietro a cui sta sempre una rilettura, una declinazione nuova: «Perché – conclude Marco Toso Borella – ho rappresentato l’abside dietro ogni tavola? Perché l’abside è concava e la Madonna è rappresentata nell’abside, concava. Il sacrificio suo e del Figlio è accogliente, cioè è dato perché tutti ci si possa salvare grazie a Lui».
Chi è Marco Toso Borella. Ma chi è l’autore della Via Crucis dei Ss. Maria e Donato di Murano? Un po’ vocazione, un po’ conquista. Tanto talento e tanto studio. È tutto ciò Marco Toso Borella: artista poliedrico, ragioniere quanto a studi perché il papà, a suo tempo, ha avuto la prudenza di avviare il figlio ad una professione più facilmente spendibile.
Ma il dna intriso d’arte, alla fine, in Marco ha prevalso.
Muranese, 56 anni, sposato e padre di tre figli, è pittore su vetro con un’attività in proprio, dopo essere stato a lungo dipendente di un’azienda dell’isola. È anche scrittore, autore di testi storici come “Stemmi di Famiglie Muranesi ” o narrativo-fantastici come “Padroni e Pedine (scacchi a chi?)”.
Ed è musicista: dirige la Big Vocal Orchestra che, con i suoi 270 coristi, è uno dei complessi vocali con l’organico più folto in assoluto. «Ho fatto musica classica, canto gregoriano, Bach, Beethoven e Haydn… e adesso faccio musica moderna, ma non ho messo in un angolo nessun tipo di musica. Cerco piuttosto di mettere insieme tratti di musica antica e attuale. Grazie a questa logica, il bello è dare ai coristi degli strumenti, dei “pennelli” per poter cantare ed esprimersi con la loro voce, cosa che riescono a fare benissimo».
Ma l’origine di questa passione per molte arti? Marco Toso Borella lo dice con sincerità: «Ho trasformato una debolezza in una ricchezza. Da bambino avevo qualche difficoltà nel relazionarmi con i miei coetanei. E la mia paura di uscire, a parte la scuola, ha fatto sì che mi sia creato un “villaggio mentale”, per cui tutto era dentro di me. Ero autonomo e indipendente, con le mie fantasie e i miei pensieri. Inoltre, non mi fermavo mai nel chiedermi i perché delle cose. E per fortuna avevo una libreria abbastanza fornita, e le risposte ai miei perché le andavo a cercare lì. Poi, quando da quelle pagine non riuscivo a far uscire abbastanza, cercavo nelle librerie degli amici e, quando anche quelle non bastavano, andavo in biblioteca. Questo atteggiamento l’ho portato con me fino ad oggi».
Giorgio Malavasi