«Il vero problema dei giovani non è economico né morale né valoriale. Al fondo c’è una crisi spirituale. Il vero problema è chi crede ancora che Gesù sia vivo: questo è il punto».
Lo dice con trasporto padre Maurizio Botta, 42 anni, volto noto di Sat 2000, sacerdote della congregazione di San Filippo Neri, una laurea alla Bocconi, una fidanzata per quattro anni – come ha raccontato lui stesso alle Iene – e poi la scelta «di prendermi il meglio: Gesù Cristo».
Padre Maurizio sarà a Mira, venerdì 23 marzo alle ore 20.45, nella chiesa di San Nicolò. «Sarà una sera di dialogo, di domande e di risposte sulla nostra fede», chiarisce don Mauro Margagliotti, fra gli organizzatori dell’incontro. Quelle di GV sono un’anticipazione.
Padre Maurizio, pochi giorni fa abbiamo votato, anche tanti giovani l’hanno fatto per la prima volta. Vede segnali nuovi? Vede diversa consapevolezza sul cosa c’entra il Vangelo con la partecipazione alla politica?
Il nesso è l’Incarnazione. Il fatto che Dio si è fatto uomo e abbia vissuto in un tempo reale e in un luogo reale, e il fatto che Gesù abbia detto chiaramente “Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio” conferma che c’è uno spazio per l’impegno dei credenti in politica. E poi, oltre al Vangelo, c’è tutta l’esperienza della Chiesa: accanto alla Parola ci sono la tradizione, il catechismo, la dottrina sociale della Chiesa, la vita dei santi… Noi possiamo trovare da tutte queste fonti una conferma al fatto che la fede non può essere qualcosa di disincarnato e di solo privato, da vivere chiusi nella propria cameretta, in una dimensione molto spiritualistica…
Ma nei giovani che vede lei, nota una crescita di sensibilità cristiana verso l’impegno sociale e politico?
Penso di essere realista nel dire che c’è una disaffezione dei giovani nei confronti della vita. Il vero problema da mettere a tema, prima ancora della politica, è la disperazione, la mancanza di speranza. I giovani sono circondati da adulti che non hanno sufficiente speranza nella vita, che non sanno dire ai ragazzi perché la vita ha senso e perché vale la pena di viverla. Quindi, dentro questo nichilismo imperante, ai giovani sembra inutile ogni tipo di tentativo e di impegno.
Prendiamo uno dei mondi principali dei ragazzi e dei giovani, la scuola. Come vede la scuola attraverso i giovani che incontra?
Credo che sia crollato il principio di autorità, che io vedevo come una cosa positiva. Prima, una o due generazioni fa, anche se non era carismatico un professore poteva insegnarti l’algebra. Oggi i ragazzi, se un professore non è appassionato, innamorato della vita e del suo mestiere, non gli danno udienza. E non c’è nessuno che gli spieghi che si può imparare la geometria anche da un professore depresso… Questo è un grosso problema.
La disabitudine alla speranza di cui lei parla è generata dal fatto che il modello economico prevalente, fatto di rincorsa del profitto e dei beni materiali, è la maggior fonte di ansia e il maggior antidoto alla speranza?
Secondo me no. Per me la crisi non è né economica né morale né valoriale. È una crisi spirituale. Persa la fede in un senso ultimo della vita, per cui ha senso tanto il fatto che io mi lego le scarpe la mattina come le esperienze e le emozioni più profonde, a quel punto rimane solo la disperazione. Oppure ci si attacca ad un edonismo vuoto. Ma anche questo attaccamento ai beni è disperato, non è gioioso.
Questo accade perché tutti gli input di oggi – a partire dalle tecnologie di ultima generazione – viaggiano su una sola dimensione, quella orizzontale, e mancano del tutto di quella verticale?
Sì. E mancano i testimoni che riescano a conciliare una vita intensa di silenzio, di preghiera e di adorazione con una capacità relazionale. Dove c’è qualcosa che funziona c’è invece questo equilibrio. Anche nella Chiesa, dove c’è qualcosa che funziona, trovi anime che vivono questo doppio ambito: l’adorazione e il silenzio ma anche l’immischiarsi, lo sporcarsi le mani.
Con uno stile, una logica e un obiettivo ben diversi da quello dominante…
Certo, ma perché vivono di una relazione. Il vero problema è: chi crede ancora che Gesù sia vivo? Questo è il punto. Non è neanche più questione di categorie, perché la domanda vale anche per i preti e i religiosi: è più importante Gesù vivente, come persona, o sono più importanti principi, valori e norme? Un cristiano non si spiega con i valori: si spiega con una Persona viva. Senza la fede in una Persona viva, anche i valori non stanno in piedi.
Come farlo intuire e capire ai giovani?
Di solito si dice: dobbiamo ascoltare il mondo giovanile. Non sono d’accordo: dovremmo fare invece un mea culpa noi adulti e chiederci che speranza abbiamo e diamo noi. Negli occhi nostri i ragazzi la vedono la speranza? Il vero problema è essere dei combattenti. Cioè riaffermare che, per custodire la speranza, occorre una battaglia spirituale. Cosa che noi nella nostra formazione cristiana abbiamo dimenticato. Per non disperarci, in ogni ambito della vita, bisogna avere un’intensa vita di preghiera. Perché Satana è il più grande disperatore.
Giorgio Malavasi