Campione nello sport, ma soprattutto nella vita. Lui è Giacomo “Jack” Sintini, ex pallavolista, che ha alle spalle una vittoria unica: nel 2011 ha sconfitto un grave tumore che l’ha costretto a lasciare la pallavolo, confinandolo per mesi in una camera d’ospedale. Dopo le terapie è guarito ed è tornato in campo, da vincente, ed ora la sua storia è diventata un esempio, soprattutto per i più giovani. Con questo spirito, mercoledì scorso, al palazzo del turismo di Jesolo, ha incontrato un migliaio di studenti del primo, secondo e terzo anno delle scuole superiori salesiane del Triveneto, nell’ambito delle Feste dei Giovani e dei Ragazzi organizzate dal Movimento giovanile salesiano.
Che effetto ti fa parlare ai giovani?
Lo faccio spesso, ma questa volta è stato diverso perché erano tantissimi: mi hanno seguito con una grande attenzione e disponibilità. Parlare ai ragazzi è sempre molto bello. In ognuno di noi ci deve essere un senso di restituzione: quando eravamo ragazzi abbiamo ricevuto, poi crescendo facciamo le nostre esperienze ed è importante testimoniarle ai ragazzi perché in questo modo possiamo aiutarli nella loro evoluzione.
Qual è la ricetta per diventare campione?
Prima di tutto occorre il lavoro duro, non si può prescindere da quello. E’ ovvio che avere un talento è indispensabile perché se vuoi arrivare ad un livello alto c’è una selezione naturale: nello sport ma anche in altri ambiti devi avere delle attitudini. Ma la differenza è il lavoro che metti ogni giorno in campo per raggiungere il risultato. C’è poi la tenacia che va utilizzata quando arrivano le difficoltà e le sconfitte, che non mancano mai.
Dagli errori possono nascere le vittorie più belle?
Si, se gli errori vengono presi con un forte senso di responsabilità e con la convinzione che capitano quando fai delle cose e ti dai da fare. Devono essere presi nella maniera giusta senza trovare scuse, alibi o colpevoli che non ci sono. Se in quei momenti uno si fa un esame di coscienza e cambia atteggiamento ha un’opportunità di crescita, sono fattori che aiutano a costruire le vittorie future.
Da ragazzo pensavi di diventare un campione del volley?
No, il mio sogno inizialmente era quello di fare il calciatore, solo dopo ho iniziato a giocare a pallavolo e ho sognato di diventare un pallavolista forte però non sapevo quante possibilità avessi. Anno dopo anno è migliorato il livello e così è cresciuta anche la mia coscienza di quello che potevo fare.
La sconfitta che ti brucia di più?
Nel 2007 , a Mosca in semifinale di Champions League: doveva essere una formalità ma così non è stato.
La vittoria più bella?
Ne dico due: lo scudetto con la Lube Macerata perché inaspettato ma soprattutto la vittoria dello scudetto a Trento, con il Volley Trentino nel 2013 perché è arrivata dopo il periodo della malattia.
Parliamo di quel periodo, come hai scoperto di avere un tumore?
All’improvviso, una mattina ho iniziato a sentirmi poco bene, ho fatto varie analisi e abbiamo scoperto che c’era quel linfoma che si era fatto largo all’interno del mio corpo. E’ stato un trauma molto grande: a 32 anni, quando sei al top della carriera, fatichi ad immaginare di dover affrontare qualcosa del genere. Passato l’iniziale momento di difficoltà ho cercato di rimboccarmi le maniche e di fare squadra con le persone che si trovavano attorno a me e ho cercato di affrontarla al meglio che potevo.
In questo caso non solo sei guarito ma sei tornato anche a giocare…
Sì, la cosa più importante è stata quella di tornare a stare bene, poi quella di aver avuto l’opportunità di tornare a giocare ad alto livello perché non avevo subito interventi gravi: una volta superati gli effetti tossici della chemioterapia ho potuto ricominciare ad allenarmi ad alto livello e tornare a vincere.
Il passo successivo è stato quello di aver fondato un’associazione…
Da sei anni lavoriamo sostenendo la lotta contro il cancro: è nata dalla volontà di mia moglie e mia per restituire un po’ del bene che abbiamo ricevuto.
Ti senti un esempio?
No, me lo dicono in molti e non nascondo che è bello sentirselo dire però sinceramente spero solo di essere uno spunto di riflessione per i ragazzi. Racconto una storia vera: è un modo per dire che tutti possono avere delle difficoltà ma rimanendo uniti dalle difficoltà possono nascere delle opportunità.
La fede di ha aiuto?
Tanto, ci sono stati alcuni giorni più drammatici e difficili di altri e la fede in Dio assieme alla preghiera mi hanno aiutato a sentirmi meno solo.
Cosa fai adesso?
Oggi lavoro come manager in una multinazionale, un’agenzia per il lavoro: gestiamo risorse e io lavoro nell’abito della formazione, attraverso la metafora dello sport cerco di motivare le persone.
E la pallavolo?
Sono rimasto tifoso, vado a vedere le partite dei miei ex compagni.
Giuseppe Babbo