«Come dice George Bernard Shaw, la verità è semplice». Stefania Falasca cita lo scrittore inglese per dire quale insegnamento trarre dalla vicenda della morte di Giovanni Paolo I, cui ha dedicato il suo libro “Papa Luciani – Cronaca di una morte”, che verrà presentato martedì 13, alle ore 11, in sala Sant’Apollonia a Venezia, alla presenza del Segretario di Stato Vaticano card. Pietro Parolin e del Patriarca Francesco Moraglia.
«Se fin da subito – spiega la giornalista e vicepostulatrice del processo canonico in atto per Giovanni Paolo I – la notizia della morte fosse stata comunicata con chiarezza e trasparenza, evitando le mezze verità, non si sarebbero spalancate le porte a quella pièce teatrale che è durata poi per quarant’anni. Ed è assurdo che proprio a Luciani, che ha vissuto la sua vita e il suo pontificato con totale limpidezza, sia capitato di venire fagocitato da una delle più longeve fake news del Novecento».
Dopo quasi quarant’anni lei ha voluto smontare il giallo della morte provocata di papa Luciani: perché ha voluto fare questo libro?
Questo non è un ennesimo romanzo sulla morte di papa Luciani e il mio intento non è stato quello di smontare romanzi. È il frutto di un lavoro di scavo documentale nella ricerca avviata dalla causa di canonizzazione. Qui a parlare sono solo le carte acquisite e criticamente vagliate rinvenute nel corso del processo canonico che ha trattato con metodo storico-critico l’epilogo della vita di Giovanni Paolo I. Gli alvei della letteratura noir sono redditizi ma non interessano alla storia. Da un punto di vista storico ciò che conta sono solo le fonti, i testi e i riscontri documentali. E alla storia era doveroso restituire anche la sua morte.
Quale documentazione è stata considerata?
Si tratta di documentazione clinica alla quale si aggiungono i documenti coevi alla morte e testimonianze oculari di rilievo. Come quella della suora allora in servizio presso l’appartamento papale che lo rinvenne all’alba del 29 settembre, mai prima rivelata e rilasciata solo all’istanza processuale e che riporta con puntualità il momento della scoperta del decesso. Molto importante, considerata l’assoluta credibilità della teste. In calce al libro è riportata la documentazione originale. Credo chiarisca definitivamente le circostanze che ne hanno determinato la morte.
Uno degli ultimi momenti della vita di Papa Luciani, su cui sono fiorite un’infinità di illazioni, fu la telefonata con l’arcivescovo di Milano Colombo, avuta prima di ritirarsi nella sua stanza. Di che cosa parlarono in quella telefonata?
Papa Luciani aveva nominato il suo successore a Venezia, un sacerdote salesiano di Milano, don Angelo Viganò, il quale però aveva respinto la nomina. La telefonata aveva lo scopo di chiedere al cardinale Colombo di convincere il sacerdote ad accettare la designazione.
Che cosa è successo nei suoi ultimi momenti di vita di Luciani?
Il riferimento per le ore precedenti il decesso è suor Margherita Marin, che oggi ha 76 anni. All’epoca era la più giovane delle religiose al servizio nell’appartamento del Papa. La suora nella sua testimonianza processuale attesta di averlo visto sempre sereno e così anche l’ultimo giorno. Lei è stata l’ultima a scambiare alcune parole con il Papa prima che questi si ritirasse da solo nella sua camera ed è stata la prima, insieme all’anziana consorella suor Vincenza Taffarel, a rinvenirlo morto al mattino presto del giorno seguente.
La suora attesta di averlo trovato composto nel suo letto, come se fosse addormentato nella lettura…
La religiosa riferisce che il suo atteggiamento era sereno e composto, e concorda pienamente con quanto certificherà in via del tutto riservata il medico Renato Buzzonetti, il medico chiamato per primo al capezzale di Luciani, riguardo all’esame obiettivo della salma e alle specifiche circostanze del decesso, fugando definitivamente congetture e dicerie diffuse poi a mezzo stampa.
Il Papa fu ritrovato che stringeva dei fogli nelle mani; si conosce il contenuto di quello che stava leggendo?
Su questi dettagli fiorirono fervide fantasie, anche sugli occhiali che indossava al momento della morte. La realtà è che Luciani abitualmente leggeva e preparava le sue omelie e i suoi intervenenti prima di addormentarsi; i pochi fogli dattiloscritti contenevano queste letture, rimasti stretti nelle mani al momento della morte furono poi sfilati dal medico, chiamato a constatare il decesso il mattino seguente. Suor Margherita Marin ha riferito che stringeva tra le mani tre fogli dattiloscritti e ricorda una citazione, il brano evangelico in cui si parla di mangioni e beoni. Quanto agli occhiali non sparirono affatto, furono dati dalla suora a uno degli ex segretari di Luciani come ricordo personale. Consegnati poi alla postulazione, sono stati donati lo scorso anno al museo di Canale d’Agordo.
Quali sono le conclusioni di questa disamina, qual è stata la causa della morte?
A conclusione della disamina, il referto e la documentazione stilati dal dottor Buzzonetti e dall’archiatra pontificio professor Fontana allora in carica, ai quali si aggiungono le considerazioni dei docenti dell’Istituto di medicina legale dell’Università La Sapienza di Roma che operarono poi per la conservazione della salma, si evince la semplice verità, fino ad oggi segreta e coperta dal segreto professionale.
Ovvero?
Luciani è stato colpito da “morte improvvisa” nella tarda serata del 28 settembre. In medicina legale con l’espressione “morte improvvisa” o “imprevista” s’intende sempre “morte naturale”. La verità è che fu un infarto la causa del decesso.
Perché non venne fatta l’autopsia?
È la domanda che tanti si sono posti e che abbiamo rivolto al dott. Renato Buzzonetti. La risposta è: perché non c’era la legge che la imponesse. Soltanto nel 1983 Giovanni Paolo II fece la legge che introduceva l’autopsia in Vaticano. Sul corpo di Giovanni Paolo I dunque non si è fatta perché legalmente non si poteva fare. Non c’era la legge che lo permetteva. Inoltre, come risulta dalle dettagliate relazioni dei medici, questi non la ritennero necessaria essendo chiara clinicamente la causa del decesso.
Perché non furono ufficialmente rese poi note le valutazioni mediche riguardo alla morte?
Nella relazione scritta e rilasciata agli atti del processo il 28 febbraio 2013 l’ex archiatra pontificio Buzzonetti così concludeva: «Col senno di poi, ritengo che se – insieme alla comunicazione ufficiale della diagnosi di morte – da qualcuno, che ne avesse avuto l’autorità (familiari o eredi legali), i medici fossero stati liberati dal segreto professionale (vincolante anche dopo la morte del malato), autorizzandoli a riferire la convincente storia di ricorrenti dolori precordiali, accusati dal Papa e da lui stesso sottovalutati, molte interpretazioni postume sarebbero svanite».
C’è stata una mancanza di chiarezza e trasparenza…
Giustamente Pia Luciani, la prima nipote di Luciani, commenta nella sua deposizione: “Credo che la Curia romana sia stata poco prudente nel dare informazioni non esatte circa il suo rinvenimento, aprendo così la strada alle illazioni”. Una maggiore trasparenza e chiarezza sarebbero state utili. (GV)