L’occasione è festeggiare il decennale. Tirando le somme delle attività del passato, ma con uno sguardo già proiettato al futuro. Sabato 3 marzo la Fondazione Elena Trevisanato invita amici e sostenitori a una cena di gala, presso la Compagnia della Vela, sull’isola di San Giorgio: un appuntamento per celebrare i dieci anni di attività della Fondazione, raccontando i progetti realizzati in Etiopia, in ricordo di Elena. La Fondazione, infatti, porta il nome della giovane veneziana morta a soli 19 anni per una caduta da cavallo, mentre si trovava a Djerba per uno stage formativo. Elena studiava Economia con indirizzo in cooperazione allo sviluppo alla Bocconi e proprio per dare corso alle passioni e alla sensibilità di Elena verso queste tematiche, la famiglia Trevisanato ha creato la Fondazione, che opera principalmente in Etiopia.
Pozzi, scuole, ambulatori. Qui, nel corso degli ultimi dieci anni, sono stati realizzati dei pozzi per l’approvigionamento dell’acqua, sono state aperte scuole e si è realizzato un presidio sanitario. Il tutto, sempre con la collaborazione della popolazione locale: «Se non coinvolgi la gente del posto nella progettazione, ascoltandone le reali necessità, i tuoi progetti finiscono per essere considerati estranei, con il rischio che poi la gente non se ne curi. Capita spesso di vedere opere realizzate da ong abbandonate e in rovina. Per fortuna a noi non è mai capitato», spiega Paolo Trevisanato, fratello di Elena e impegnato, insieme soprattutto a mamma Liliana e alla moglie Elisa Andreoli, nel portare avanti i progetti della Fondazione. «Noi – prosegue – abbiamo la fortuna di appoggiarci a una persona del posto che coordina tutti i nostri progetti. E’ un somalo cresciuto da un salesiano. Nella regione dove operiamo, la Somali region, al confine con la Somalia, è stata forte la presenza e l’attività di questo padre salesiano». E’ anche ispirandosi alle sue opere che da dieci anni la Fondazione sta portando avanti una serie di progetti. Con risultati importanti (ne scrivevamo in GV n. 48 del 15 dicembre 2017): intorno ai pozzi e alle scuole sono sorti degli insediamenti. E altre organizzazioni non governative hanno aggiunto loro strutture – scolastiche o sanitarie – aumentando il livello dei servizi per la popolazione. Il villaggio di Darwonaji è l’esempio più lampante, perché alla scuola primaria costruita 10 anni fa dalla fondazione si è aggiunta la scuola secondaria realizzata dal governo e al presidio sanitario una ong ha aggiunto il reparto di maternità. «Darwonaji è ora un capoluogo regionale riconosciuto. Il dato positivo – è il bilancio di Paolo Trevisanato – è che i progetti, anche a dieci anni di distanza, sono tutti funzionanti e hanno creato sviluppo. E’ un dono fantastico per noi».
I progetti del futuro. In dieci anni sono stati raccolti circa 700mila euro e non tutto è stato ancora speso: «La cosa peggiore è che a volte abbiamo le risorse ma non le possiamo subito spendere», sottolinea Paolo. Il fatto è che i progetti richiedono un tempo lungo per l’approvazione e la realizzazione. Perché tutto deve essere portato avanti con l’autorizzazione e la collaborazione del governo regionale. Le difficoltà sono molteplici: «Quando noi andiamo là facciamo il giro e raccogliamo le richieste. Poi le valutiamo e decidiamo quali progetti possiamo portare avanti. Teniamo conto che nessuno in Fondazione lavora a tempo pieno. Oltre alla nostra famiglia ci sono tante altre persone che ci danno una mano, ma da qui non è così facile». In ogni caso in “cantiere” ci sono parecchie idee, che sono già in corso di progettazione. «Stiamo aspettando il progetto di un altro pozzo. E poi stiamo aspettando l’approvazione per realizzare un reparto di tubercolosi nel presidio sanitario. Sarebbe molto importante perché oggi i malati infettivi stanno insieme agli altri. Ma i tempi per le autorizzazioni e per l’approvigionamento dei medicinali sono lunghi. Non è pensabile inviare medicinali da qui. Per i costi e per le autorizzazioni». Un altro progetto invece dovrebbe trovare collocazione in un’area diversa dell’Etiopia, nel Guraghe, a sud di Addis Abeba: «Vorremmo realizzare una scuola materna, in collaborazione con la parrocchia locale». Il rapporto con la Chiesa locale è legato soprattutto alle realtà missionarie (come i salesiani o gli istituti religiosi che si occupano dell’istruzione) o alle parrocchie. «Pur essendo un paese a maggioranza cristiana, tra copti e ortodossi, nella Somali region è invece totalmente maggioritario l’Islam.
Grandi disparità. Guardando più in generale alla situazione dell’Etiopia, quel che emerge sono soprattutto gli squilibri. «In questi dieci anni – osserva Paolo Trevisanato – le esigenze della popolazione sono rimaste invariate. L’area dove operiamo non è cresciuta più di tanto, non è salita a un gradino successivo. Le esigenze sono sempre primarie. L’Etiopia sta crescendo, è vero, pur con degli squilibri straordinari. Ma la zona dove operiamo è somala- sottolinea Trevisanato – mentre il governo è di un’altra tribù, quindi quest’area è l’ultima priorità». La sfida non sono solo i progetti futuri da realizzare: «E’ anche vedere la loro sostenibilità nel tempo. I pozzi sono strutture importanti, le persone possono essere più stanziali, i progetti agricoli stanno crescendo: la sfida è vedere se si reggeranno anche in futuro. Perché ora le opere sono finanziate, ma in futuro dovranno reggersi autonomamente». Di tutto questo si parlerà sabato con gli amici che hanno condiviso i dieci anni della Fondazione, e con quelli che vorranno esserci anche in futuro. Ricordando Elena. (S.S.L. – G.M.)