C’è bisogno di un cambiamento di sguardo che trasformi una minaccia in un’opportunità di pace e faccia, vedere (e riconoscere) in modo nuovo quelle persone che, a volte improvvisamente, ti trovi di fronte e… a casa.
Lo aveva già intuito Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace 2018 ma l’esigenza è riecheggiata più volte sabato scorso, ad Oriago, attraverso le voci e le testimonianze delle persone intervenute – con la ricchezza e la fatica delle loro storie – durante la marcia diocesana della pace sul tema “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”.
Riccardo Valentini, scout di Mira, ha raccontato l’esperienza di accoglienza – avvenuta nelle parrocchie della Riviera appena poche settimane prima – nei confronti di oltre duecento richiedenti asilo in fuga dal centro di Conetta. Tanti si sono subito mobilitati ma non sono mancate nemmeno ritrosie e difficoltà «per la paura di mettersi in gioco e di rispondere a quest’appello che ti prendeva sul vivo. Non era più qualcuno o qualcosa di sconosciuto di cui parlava il giornale o la tv… Adesso toccava a te: vieni e dai una mano oppure continui ad ignorarle?».
A colpirlo è stata soprattutto l’età molto giovane di quei ragazzi: «Di alcuni non si sapeva nemmeno che età avessero, parecchi erano anche più giovani di me. E pensavo: ma se fossi stato io al loro posto, non avrei cercato anch’io di fare la stessa cosa? Non avrei voluto anch’io trovare qualcuno disposto ad aiutarmi? Io, in fondo, ho avuto solo la fortuna di avere delle possibilità che loro non hanno avuto…».
Gabriella Zuliani, del Lido di Venezia, partecipa all’iniziativa dei “Corridoi umanitari” (sostenuta da varie realtà, non solo ecclesiali) sta accogliendo una famiglia di siriani drusi provenienti da Damasco (papà, mamma e un figlio di 10 anni) nell’ambito di un progetto che punta all’integrazione e all’autonomia.
Il suo divano di casa, comodo e tranquillo, ad un certo punto – racconta – ha cominciato a scuoterla e… «a scottare. Ho provato a vedere cosa potevo fare ed è arrivata questa opportunità. La mia vita, da allora, è cambiata. Adesso ogni cosa che faccio, che vedo, che penso, la metto sempre in rapporto alle altre persone che, magari, non sono state fortunate come me. Anche conoscendo le realtà che sostengono il progetto, ho imparato a confrontarmi con persone che non la pensano come me in tante cose ma tralasciamo i dettagli che ci dividono e puntiamo alle cose più importanti. Integrazione, per me, è innanzitutto ascoltarci. Ascoltarci con l’intenzione di capirci e non di giudicarci. A partire dalle cose minime della vita quotidiana, dalle ore dei pasti alla puntualità negli appuntamenti… E non è facile!».
La vicenda di Mirella Sambo, di Pax Christi e della parrocchia di S. Lorenzo di Mestre, è particolarissima: lei le persone in difficoltà, da parecchio tempo ormai, le accoglie abitualmente in casa sua.
«Questa mia “vocazione” – confessa – è nata da una crisi. Sono sempre stata cattolica e… attivista, ho fatto sempre assistenza in varie forme, dalla San Vincenzo all’Opera Nomadi e in parrocchia, ma è arrivato un momento in cui mi sono sentita schizofrenica. Fuori vedevo e conoscevo tanti poveri ma poi, in casa e chiusa la porta, vivevo da borghese in tutta comodità. Ad un certo punto ho detto basta ed ho cominciato…».
Apre via via le sue porte della sua casa, come “compagni e compagne di viaggio”, ad obiettori della Caritas, profughi del Kosovo, ragazze italiane in difficoltà, donne africane e asiatiche. «Il mio punto di forza – aggiunge – è la spiritualità. Sono sempre alla ricerca di una spiritualità che dia senso alla mia vita. Con tutte le persone che ho ospitato ho sempre sentito che Cristo mi teneva per mano, non mi sono mai sentita sola. Una serenità indicibile mi ha così accompagnata. Anche se ogni tanto perdo la pazienza…».
La marcia della pace – a cui ha preso parte anche il sindaco di Mira Marco Dori – si trasferisce quindi dalla chiesa di S. Pietro in Bosco a quella di S. Maria Maddalena, accostando e poi attraversando il naviglio Brenta. Il Patriarca Francesco propone la sua riflessione e pone l’attenzione sulla figura esemplare di santa Francesca Cabrini e sul suo impegno, negli Stati Uniti, a favore degli immigrati italiani (tanti i veneti) giunti a partire dall’Ottocento. «Questa donna – dice alla fine – ha rivoltato la situazione di quei poveri uomini e di quelle donne che, negli anni che hanno preceduto la prima guerra mondiale e anche dal nostro Veneto, andavano a cercare lì una vita più vivibile. La storia si ripete, anche se cambiano i ruoli e i personaggi. Oggi siamo noi ad accogliere, ieri eravamo noi ad essere immigrati e ad essere accolti. Il Vangelo ci ricorda che tutto ha inizio dalle persone e dalle comunità. È comodo parlare solo delle strutture; anche le strutture sono opere delle persone e delle comunità».
Alessandro Polet