Un proverbio recita: allo sciocco indichi la luna, lui guarda il tuo dito. Il Patriarca cita questo noto proverbio per indicare, anche grazie alla saggezza popolare, una strada che la cultura di oggi tende a trascurare, a favore di “autostrade” che non portano a nulla.
Mons. Moraglia riflette su questo tema nell’omelia pronunciata nella mattinata di sabato 6 in San Marco, durante la liturgia celebrata nella dell’Epifania.
La meditazione si concentra sulla figura e l’azione – così come raccontata dal Vangelo – dei Magi. E il Patriarca pone la questione del perché del loro agire e, al contempo, del come la nostra sensibilità tende a interpretarli come mito o, peggio, fiaba: «Perché si sono lasciati “prendere” da quella scia luminosa che appariva, svaniva e riappariva in cielo? In questo nostro tempo così disincantato, in un’epoca come la nostra in cui – come è stato detto – basta girare un interruttore per illuminare una stanza, un edificio, un centro commerciale, un’intera città, come è possibile seguire la luce incerta e tremula di una stella? Insomma: come è possibile, per un cristiano adulto, leggere questa pagina del Vangelo di Matteo senza provare disagio o un senso di malcelata superiorità?».
La questione di fondo riguarda noi, uomini del 2018. Un pericolo di fondo assedia la nostra vita: «Si giunge talvolta all’incredulità partendo da piccoli dettagli, un testo non compreso o compreso male e si finisce per mettere in questione tutto il Vangelo. Si tratta, in tal modo, di riscoprire nella nostra vita il valore di una conoscenza capace di cogliere non solo i mezzi ma anche il fine, non solo la parte ma il tutto, non solo il visibile ma l’invisibile».
Eppure, nelle piccole cose, spesso, riusciamo a cogliere il vero: «Il simbolo o, se preferiamo, i simboli non negano quello che significano; dato che ti faccio un regalo simbolico – si dice: “è solo un piccolo segno” -, questo non vuol dire che non ti ho fatto un regalo! Il simbolo non nega, piuttosto, dice qualcosa che va oltre la realtà che lo costituisce segno; è, quindi, realtà capace di dire qualcosa di più della sua pura materialità. Ma il simbolo richiede d’esser letto anzi – lasciatemi dire – “intus” letto (letto “dentro”). Dobbiamo educare ed educarci alla realtà simbolica; allora ci scopriremo umanamente più veri e ricchi di umanità».
Questa è pienezza di vita e di umanità. Il disincanto contemporaneo è, invece, mortificazione della nostra verità. Lo diceva già Blaise Pascal, che il Patriarca cita: “Dio – sono sue parole – ha messo nel mondo abbastanza luce per chi vuole credere, ma ha anche lasciato abbastanza ombre per chi non vuole credere”.
Commenta mons. Moraglia: «È il mistero della libertà umana, l’invito che oggi ci rivolgono i Magi! Tra il simbolo e la realtà indicata vi è un nesso che chiede d’esser accolto, investigato, compreso ed è in grado di dischiudere l’accesso a realtà nuove, a realtà “ulteriori” che ci conducono ”oltre” e danno senso a quanto prima non coglievamo. Ma se non siamo in grado di cogliere la realtà simbolica, ovvero se non riusciamo ad andare oltre la materialità propria del segno, allora, nella nostra vita, tutto si riduce ad un misero e puro funzionalismo che rinchiude ogni cosa nella morsa di un efficientismo fine a se stesso; l’uomo, così, si riduce a ciò che tocca e percepisce nella materialità della cosa di volta in volta percepita».
La conseguenza ci riguarda da vicino: «Ora, se si perde la capacità di cogliere la dimensione simbolica del reale si smarrisce o si è già smarrito l’uomo che è in noi o, meglio, in noi emerge o è già emerso un tipo d’uomo che potrà anche essere più efficiente, capace di produrre di più e in tempi più brevi ma, alla fine, inabile a porsi le domande circa il senso della vita che svelano l’uomo all’uomo, ossia quale è la sua vera realtà».
«Potremo, quindi – prosegue l’omelia del Patriarca – essere anche più veloci, più produttivi, più tonici come forza muscolare, ma meno uomini. È questo il dramma di un uomo o, meglio, di un’intera umanità che, perseguendo la pura efficienza e non volendo più riconoscere i propri limiti, mira sempre a nuove performances, prestazioni che comunque – e questo va tenuto ben fermo – ogni macchina può raggiungere prima e meglio».
Il XXI secolo ma anche quello che l’ha preceduto, si è adoperato con impegno per nascondere all’uomo il suo essere fatto di Cielo e non solo di Terra. E lo strumento dei mass media ne è stato, spesso, il braccio operativo: «Siamo immersi e facciamo parte, senza neppure accorgercene – grazie al martellamento mediatico -, di una cultura funzionalista e utilitarista per cui ci interroghiamo solo su come avvengano le cose e non sul perché avvengano o esistano».
Ci è conveniente, perciò, fare un passo avanti: «Sì, solo le affermazioni capaci d’andar oltre la pura verifica sperimentale e il mero calcolo quantitativo dicono la dignità di un sapere che sia all’altezza dell’uomo».
«Se rimaniamo chiusi all’interno di una visione del mondo che attinge solo i mezzi e non raggiunge più i fini, se ci fermiamo alla pura verifica sperimentale e al mero calcolo, allora non possiamo sapere più nulla di veramente umano; secondo una mentalità non certo minoritaria, il discorso sui fini rimane ostaggio della soggettività umana e quindi non ha valore universale. Così, tutto ciò che esula dal metodo scientifico (razionalità sperimentale), appartiene al mondo pre-scientifico – in altre parole al mito – e fa parte, quindi, della leggenda; è una pura fiaba, appartiene ad un passato che non esiste più».
La capacità dei Magi di guardare la luna e non fermarsi al dito è lezione che vale anche per l’oggi: «Cari fedeli – conclude il Patriarca – in questa significativa solennità liturgica che ci mostra l’adorazione dei Magi, vorrei invitare tutti a sapere, a nostra volta, adorare lo stesso Gesù, presente realmente nel Santissimo Sacramento dell’altare».