I lavori termineranno con la fine di dicembre. E a gennaio saranno smontati i ponteggi. Con l’inizio del 2018 la Basilica di San Marco riavrà il portale centrale in tutto il suo splendore. Negli ultimi cinque anni infatti gli ordini superiori al portale sono stati interessati da restauri che stanno per concludersi nei tempi previsti. Il primo ordine sopra il portale presenta quattro nicchie, due per lato, con i mosaici raffiguranti i quattro Evangelisti; il secondo ordine, giustapposto in un secondo momento, vede la raffigurazione della Vergine e di otto Apostoli. Otto, perché san Giacomo vale doppio (il maggiore e il minore), due sono anche evangelisti e naturalmente nei Dodici non c’è Giuda. «Quelli con gli Evangelisti sono i mosaici più antichi dell’intero complesso» rivela l’architetto Mario Piana, Proto di San Marco. «La datazione è stata anticipata, rispetto a quella attribuita tradizionalmente, perché si ritiene che una volta consacrata la Basilica, nel 1094, sia iniziata la realizzazione di questa cornice di chiusura e dunque contenga i mosaici più antichi, risalenti all’XI secolo. La parte superiore è invece successiva e probabilmente è stata aggiunta per adattare le diverse altezze».
Il San Marco di Tiziano? Nella volta, invece, si trova il mosaico raffigurante San Marco e si tratta di un’opera molto più tarda, risalente al XVI secolo: è basata sui cartoni attribuibili probabilmente a Tiziano ed è stata realizzata dai mosaicisti Zucconi, due fratelli che lasciarono la loro firma sul mosaico. «Fatto questo piuttosto inusuale» sottolinea il Proto. Il restauro dei mosaici è consistito in un paziente lavoro di consolidamento degli strati di malte sottostanti alle tessere. Gli strati, spiega l’architetto Piana, sono due, il primo più consistente, di 4-5 centimetri e il secondo più sottile. «In quello più spesso vi si trova solitamente della fibra vegetale, paglia, che viene inserita per aumentare il mantenimento dell’umidità, con la finalità di prolungare la presa». I problemi dei mosaici, così come quelli degli affreschi e degli intonaci, qui a Venezia in particolare, sono legati alla presenza dell’acqua salata che non è solo dovuta alla risalita lungo i muri, ma è anche in forma gassosa, nell’aria che respiriamo. «Nelle superfici di contatto tra i due intonaci avviene l’evaporazione dell’acqua e il conseguente accumulo di sali. A lungo andare questi sali provocano distacchi e infine crolli».
Consolidamento “in situ”. Per questo il lavoro di restauro è finalizzato principalmente al consolidamento degli strati di malta: cosa che ora si fa rigorosamente “in situ”, senza levare una sola tessera. È’ questa una tecnica ormai ben rodata, a partire dalla fine degli anni ’70-’80. «Prima – spiega l’architetto – si tendeva a rimuovere le tessere per poi riposizionarle. Ma così facendo avveniva una sorta di appiattimento. Sembra un dettaglio, ma la collocazione originaria delle tessere ha un certo movimento, che si nota in particolare quando la superficie d’oro riflette la luce. Nel rimuovere e ricollocare le tessere quel movimento si perde. Un occhio attento lo nota e in Basilica è possibile scorgere questo tipo di interventi». Per questo è stata abbandonata la tecnica, introdotta dal Proto Saccardo a metà dell’Ottocento, di rimuovere le tessere per poi ricollocarle. In precedenza, va detto, succedeva ben di peggio: «Se le tessere crollavano o dovevano essere rimosse perché instabili, si provvedeva a rifare il mosaico secondo il gusto del tempo. Così, in Basilica abbiamo numerosi rifacimenti, risalenti a epoche diverse». Certo, poteva capitare che l’autore del cartone fosse Tintoretto, ma si trattava pur sempre di una manomissione.
Conservazione totale. Adesso si è passati alla conservazione più totale. La nuova tecnica, messa a punto con i restauri al mosaico del Giudizio Universale di Torcello (presenti sia l’architetto Piana, allora funzionario della Soprintendenza, sia i mosaicisti di San Marco “prestati” al cantiere), consente infatti di consolidare gli strati mediante infiltrazioni, sfruttando quelle piccole fessure che si trovano tra le tessere e il primo strato di malta. «Si inietta una miscela di calce, polvere di cotto e polvere di marmo, laddove si avvertono dei vuoti. Li si sente a “orecchio”, battendo con le nocche oppure con lo stetoscopio. Si mappano quei vuoti e poi si procede». La sostituzione delle tessere non avviene praticamente mai, addirittura si preferisce lasciare un vuoto, laddove una tessera si stacchi, per non inserirvi un “falso”. Adesso i mosaici sovrastanti il portale sono tutti consolidati e ripuliti.
Una particolarità ha riguardato il mosaico di San Marco nella volta: «Con una ricerca magnetometrica sono emersi centinaia di chiodature di rame infisse nel primo strato. Questo ci ha tranquillizzato sul piano della stabilità. Teniamo conto che già nella metà del ‘600 si era verificato un distacco importante – chiude il Proto – se ne vede ancora traccia».
Serena Spinazzi Lucchesi